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lunedì 3 marzo 2014

STORIA DI GIULIA - VIOLENZA SULLE DONNE=VIOLENZA AI BAMBINI. SEGNALATE.

STORIA DI GIULIA, CIRO E ANDREA
Qui http://ferrandoalberto.blogspot.it/2014/02/lettere-di-mamme-picchiate-violenza-di.html ho pubblicato lettere di mamme (e quindi di bambini) sottoposti a violenza da parte del marito. 

Ci racconterà Giulia, attraverso la sua esperienza, come sia necessario farsi aiutare, denunciando molestie e maltrattamenti psicologici e fisici (ma anche se solo psicologici, fanno danni importantissimi).
Denunciare a strutture finalizzate alla protezione della famiglia, nella sua parte più debole. Ed alla cura del maltrattante che, a sua volta, ha una fragilità terribile, pur nella brutalità psicofisica manifestata, nel tentativo di superarla...
Giulia non è il vero nome dell'amica mia e del dottor Ferrando. La nostra amica è ultrasessantenne e suo figlio si incammina verso i quarant'anni. Ma le sofferenze vissute dal figlio, che chiameremo Ciro, lo hanno portato, a partire dall'adolescenza, a manifestare comportamenti fortemente disturbati, simili a quelli paterni, in alternanza a crisi in cui Ciro si sentiva grandemente in colpa, ed entrava in depressione, anche con fantasie suicide qualche volta. E, successivamente, non riusciva a costruire legami affettivi con le fidanzate che non avessero caratteristiche distorte e malate. Ma era soprattutto su Giulia che i comportamenti aggressivi di Ciro si riversavano.
Ed alla fine, una grave violenza fisica sul secondo compagno di lei, e nel modo più brutale e pericoloso.
Giulia era molto giovane, e Ciro aveva meno di 2 anni, quando ha capito di doversi separare dal marito (lo chiameremo Andrea), perché stava vivendo nella paura per se', ma soprattutto per il suo bimbo.
Il bimbo era innamorato del suo papà e Giulia aveva creduto di poter proteggere Ciro  semplicemente separandosi da Andrea.
Ma così non è avvenuto... nonostante la separazione, quel che Ciro ha vissuto, prima e dopo la separazione dei genitori, lo ha segnato in modo grave.
Se qualcuno fosse riuscito a far capire ad Andrea che il suo comportamento era malato, e che lui stesso aveva bisogno di cura, non solo per il bene di suo figlio, ma anche per poter essere lui stesso una persona felice di se', sarebbe stato molto utile.
Ma allora non si pensava a curare il maltrattante, ammesso che si fosse riusciti a dimostrare il maltrattamento. E al massimo si concepiva una pena.
Mi interrompo, sarà Giulia stessa a continuare. Lo farà a frammenti: nonostante da 24 anni sia sostenuta da un professionista per reggere nel modo più utile possibile il rapporto con Ciro, scrivere di questo argomento è per lei un lavoro che le fa battere forte il cuore.
Ecco il racconto di Giulia:

La mia storia con Andrea, pur con un'interruzione per me dolorosa (ero molto innamorata) era nata sui banchi di scuola. Poi il matrimonio... nonostante avessi avuto la netta percezione, andando alla cerimonia, di infilarmi in grossi guai. Ma era stata più forte la malia dell'innamoramento.
Già da ragazzina ero abituata a considerare i suoi eccessi come espressione di una sofferenza (il suo rapporto con il padre gli creava molti problemi). Povero Andrea, mi dicevo, ha bisogno di amore, ha bisogno di essere capito.
Sin dai primi tempi della nostra convivenza, Andrea aveva iniziato a tenermi sveglia la notte per descrivermi in modo insistente ed estenuante i miei innumerevoli difetti, per i quali, spiegava, si preoccupava, perché mettevano a rischio il nostro futuro. E non smetteva di parlare dei miei innumerevoli difetti, impedendomi di dormire sinché, esausta, crollavo, piangevo e ammettevo le mie presunte colpe. Il giorno dopo ero uno straccio.
All'inizio del matrimonio gli rispondevo cercando di capire, ma abbastanza presto compresi che aveva solo bisogno di farmi star male. Ciononostante, continuavo a giustificarlo.
Faceva anche altri giochini per farmi star male, come ad esempio ignorare totalmente la mia presenza per giornate intere. Come fossi stata trasparente.
Oppure faceva assurde, immotivate, scenate di gelosia, rompendo oggetti cui io tenevo.
Ma non le consideravo cose troppo gravi: col tempo, e la pazienza amorevole, le sue sofferenze si sarebbero lenite e tutto sarebbe stato superato.
Non volevo figli, però, sinché la situazione non sarebbe cambiata. E per questo venivo molto criticata da lui e dalla sua famiglia.
Poi, per errore (o forse no), rimasi incinta ed ebbi Ciro.
E la situazione cambiò.

Di colpo lo vidi con lucidità com'era. Colsi che avevo a che fare con una persona fortemente disturbata. Gli proposi di affrontare il suo malessere perché ora avevamo un figlio, e responsabilità importanti.
Ma la mia lucidità non gli piaceva.
Cominciò con l'avere altre donne. Però io ero distratta, avevo Ciro di cui occuparmi e non me ne accorsi neppure. Me lo fece raccontare dal fratello, a cui risposi ridendo che non era possibile che Andrea, geloso e possessivo com'era, potesse fare lui stesso ciò che ossessivamente dichiarava così grave ed amorale. (Sembra incredibile, ma allora la coerenza mi pareva indiscutibile!)

I suoi tentativi di umiliarmi si fecero più frequenti. Le sue ossessive sceneggiate notturne più aggressive. Ma gli tenevo testa molto più a lungo: non avevo tempo da perdere con stupidaggini. E intanto continuavo a proporgli di risolvere i problemi o di lasciarci. Ma ero molto provata.

Che la situazione virasse al peggio, per Ciro e per me, lo capii una notte.
Si rientrava da una delle interminabili serate del sabato, a cena a casa dei nonni paterni.
Il tinello, dopo la cena, si trasformava in un fumoir insano. Il bimbo piccolo, due anni, sul tavolo come giocattolo/trofeo <l'erede del nostro sangue>. Attorno quattro adulti a fumare e parlare parlare parlare.
Era una sofferenza (non ho mai fumato in vita mia), un gran mal di testa ed una gran rabbia feroce per l'intollerabile mancanza di rispetto per un bimbo piccolo.
Ma le mie accese rimostranze per i diritti calpestati di Ciro erano ininfluenti. Cinque persone, la famiglia, il clan, erano solidali nell'irridere le mie argomentazioni: <sei la solita integralista fuori dal mondo> .
Il ritorno a casa in auto fu con me alla guida. Strana eccezione, perché Andrea era fanatico di auto e geloso della sua (incredibilmente me ne viene in mente ora il motivo: la cosa era funzionale ad un giochino cattivo).
<Ciro ha sonno, salgo con lui> mi disse Andrea appena giunti nei pressi di casa.
Posteggiare la notte, in quella zona centrale della grande metropoli del nord, non era facile. Occorreva girare un po' a vuoto. Ed io cercai il posteggio da sola.
Ascensore. Settimo piano.
La porta dell'appartamento era socchiusa. Dentro buio. Provai ad accendere la luce. Non si accendeva. Silenzio. Paura. Provai a chiamare. Silenzio. Perché? Cos'era successo? Nessuna luce si accendeva. Il cuore martellava. Girai tutte le stanze nel panico.
Di colpo si misero a gridare entrambi, padre e figlio, emergendo da dietro il letto matrimoniale dietro cui si erano acquattati.
E mio marito, ridendo, andò a ricollegare il contatore della luce che aveva staccato.
Stavo male. Il cuore ancora martellante.
Il bimbo che era riemerso da dietro il letto, accanto al padre, e come lui si era messo ridere, appena vide il mio viso, che evidentemente esprimeva lo stato sofferente, mi venne incontro spaventato. Accarezzandomi, mi diceva <Mama? Mama?>  con un tono amorevole e spaventato che non ho mai dimenticato.
Mi riscossi subito per tranquillizzarlo, ma non so quanto fu possibile celare il mio malessere.

Sin dai primi tempi, ogni volta Andrea aveva fatto qualcosa di particolarmente pesante, facendomi soffrire, dopo prometteva che avrebbe posto fine a questi comportamenti, mi diceva che aveva capito cosa non andava e mi copriva di molteplici attenzioni ed espressioni amorevoli, facendomi sentire davvero amata (ogni volta gli credevo, volevo credergli) .
La cosa durava per un po'. Ma poi, immancabilmente, si era d'accapo.
In quelle estenuanti notti in cui mi teneva sveglia, avevo studiato i dettagli del manifesto a parete di fronte al letto (rappresentava un bosco autunnale... quel guardarlo mi serviva ad ancorarmi ad una bellezza consolante e focalizzare la mia attenzione fuori dal mio malessere), e pensato che sembrava non esistesse un solo Andrea, ma due, con tratti opposti di carattere ed opposta percezione del mio essere.
Quel continuo alternarsi di messaggi contrastanti aveva contribuito a confondermi le idee.
“Ha bisogno di aiuto e amore, lui non è davvero come appare quando sta male”, mi ero ripetuta più e più volte...

Dopo quello scherzo cattivo fattomi coinvolgendo Ciro, sentii che non c'era più tempo.
Decisi di spiegargli che ora era proprio necessario che risolvesse i suoi problemi. Perché avevamo un figlio, ma anche perché mi stavo disamorando di lui... E da ragazzotta testarda e ingenua (e priva di aiuto) gli confessai, molto incautamente, che stavo iniziando a provare interesse per altri uomini.
Per Andrea quest'ultimo era un grave delitto di lesa maestà, da punire con severità. Lo capii subito a spese mie e del bimbo.
Ad ogni scenata violenta notturna ero terrorizzata che Ciro si svegliasse, accorresse e vedesse la furia spaventante di suo padre o si tagliasse i piedini su vetri rotti o venisse ferito con altro...  (ricordo che, pur agnostica, cominciai a pensare che forse potevo fare un eccezione e credere almeno nell'angelo custode dei bimbi)

Era iniziata anche la violenza fisica.
Sempre con l'accortezza di celarla sotto il manto perbenista. Tanto non avrei urlato, lo sapeva bene: non avrei spaventato Ciro. E allora il braccio ritorto dietro la schiena sino a togliermi completamente il respiro per il dolore. Oppure il colpo infertomi di taglio violentemente sul seno facendo finta di gesticolare, mentre teneva in braccio il bambino. Che tanto i lividi lì non li vede nessuno e Giulia non urla, non vuole spaventare Ciro.

La certezza definitiva dell'insostenibilità della nostra situazione mi si presentò alla mente dopo una giornata trascorsa con Anna, mia suocera.

Sin dai primi tempi della mia vita con Andrea, capii che Anna era vittima di Giuseppe, mio suocero . Una vittima ad un livello molto subdolo e raffinato, difficile da identificare. Ma senza scampo.
Giuseppe celava la sua violenza psicologica (che però faceva danni anche fisici) nei confronti della moglie, sotto una rappresentazione di se' come alto esempio di dedizione alla famiglia, integrità, responsabilità, tatà tatà tatà...
Ma nel vivere i primi momenti familiari condivisi, una volta, il suo controllo non era stato efficiente (o forse, penso ora, voleva sondare le mie capacità di accettazione delle sue modalità di rapportarsi alla moglie).
Quindi ero stata testimone di un suo atto davvero cattivo nei confronti di Anna.
Mi ero indignata. Non potevo crederci.
Avevo anche cercato di evitare a mia suocera quella sofferenza (Giuseppe non l'aveva certo picchiata, per carità, ma era riuscito ugualmente a farla soffrire per molte ore).
Lui era stato più forte di me, naturalmente, e mi aveva ridotta all'impotenza.
Avevo visto un marito-padrone inaccettabile. Una coercizione inaccettabile. Un'ideologia distorta di rapporto di coppia. Non capivo (non ancora) che era un'ideologia familiare malata.
Avevo protestato con Giuseppe (Andrea non era presente) e poi, molto intensamente, con Andrea appena lo avevo rivisto... Andrea mi aveva dato ragione.
Il palcoscenico sulla loro vita reale si era richiuso subito, ma ormai ero in grado di osservare Anna e capire se era stata male.

Quando avevo potuto, in seguito, avevo sempre cercato di star vicina ad Anna, farle almeno sentire amicizia ed affetto.

Quel giorno ero andata ad aiutarla a vuotare un armadio (era imminente un loro trasloco).
Da quell'armadio, assieme agli oggetti, uscivano i racconti di frammenti della sua vita, della vita della famiglia. I soprusi. Le cattiverie.
Capii che dovevo sottrarre Ciro e me alla riproduzione di quello schema malato. Rapporti di potere intrafamiliari molto simili a quelli in cui mio marito stava cercando di incastrarci per tutta la vita. Ed anche in modo meno raffinato, più riconoscibile.
Stava a me muovermi.
Fu una riflessione, in un lungo viaggio in tram (tempi lunghi di percorso nella grande città), che dissipò ogni residuo di nebbia dalla mia mente: quel clima di sopraffazione sembrava passare da padre in figlio. Dovevo proteggere Ciro.
Presi coscienza di colpo, e con sgomento, del fatto che avevo paura di Andrea. E che non lo avevo ancora lasciato per paura della sua violenta reazione. Che mi stavo celando la realtà.
Sentii molto chiaramente che non avevo scelta: non era accettabile vivere con una persona di cui avevo paura.

E fui finalmente un po' più cauta (o almeno credetti di esserlo).
Quella sera stessa spiegai ad Andrea che avevo deciso di lasciarlo perché le “nostre liti” non facevano bene al bambino.
Gli proposi una separazione consensuale che ci permettesse di vivere in case separate ed essere genitori civili, amici e responsabili. Ognuno con la sua vita, ma capaci di far sì che Ciro non soffrisse ed avesse la presenza di entrambi, a turno, e qualche volta civilmente insieme.
Andrea la prese bene. Accettò. Mi disse che era consapevole che le cose avrebbero dovuto cambiare tra noi.  <Siamo due genitori responsabili e civili>  fu il motto della serata e di qualche giorno successivo...
Ma durò poco.

Qualche giorno dopo la mia dichiarazione di volermi separare da lui, Andrea rientrò a casa a notte inoltrata.
Già dormivo, sentii un tonfo. Mi alzai. Era steso a terra, sembrava incosciente. Mi spaventai.
Lo chiamai. Lo toccai. Volevo capire cosa gli accadesse.
Appena mi sentì vicina, si alzò in piedi di scatto e, in silenzio, mi piombò addosso trascinandomi sotto di se' nella sua caduta. Di nuovo apparentemente incosciente.
A gran fatica, perché Andrea mi superava di 30 centimetri in altezza e 30 chili di peso, lentamente riuscii a sfilarmi da sotto di lui. Mi rialzai.
Appena fui in piedi, Andrea mi ricadde addosso e mi trovai a terra sotto di lui come prima. Sempre come fosse un sonnambulo.
Paura. Anche che Ciro si svegliasse e si spaventasse.
Ricominciai a sfilarmi da sotto e quando ci riuscii cercai di raggiungere di corsa la porta di casa per chiedere aiuto ai vicini. Ma Andrea fu più veloce. Con violenza mi ributtò dentro casa. Richiuse e giù di nuovo a terra con me sotto.
Il giochino si ripeté non so quante volte. Ogni volta cercavo di aggrapparmi a qualcosa, per poter suonare un campanello, ma lui arrivava prima o riusciva a strattonarmi con forza. In casa e a terra.
Poi ci riuscii. Andrea non ce la fece a farmi mollare il pomello della porta di casa di un'anziana signora che, forse insonne, aveva sentito (e visto qualcosa dallo spioncino?)... Sentimmo girare le sue molte serrature.
Andrea scappò subito in casa. Chiesi alla signora di chiamare la guardia medica, perché mio marito stava molto male, aveva bisogno di assistenza immediata.
La signora eseguì e lasciò socchiusa la sua porta nell'attesa. Non so più, se in seguito le chiesi cosa avesse capito.
Rientrando vidi Andrea in bagno con le dita in bocca: stava stimolandosi il vomito. Capii che aveva bevuto dalla puzza (solo in quel momento la avvertivo?).
Si lavò, si cambiò e si mise a letto: un malato per bene. Non facciamo brutte figure, per carità.
Mi stupii, Andrea non aveva mai amato bere.

Quando arrivò la guardia medica raccontai l'accaduto nei dettagli, mentre lo visitavano. Tutti i dettagli.
La dottoressa mi chiese alla fine: “Ma lei, signora, non aveva mai visto un ubriaco prima?”, scrisse qualcosa e se ne andò. Ero sbigottita. Mi sentii impotente. Priva di aiuto.
Ebbi più aiuto dalla vicina che promise di rimanere in allerta per noi... lo disse davanti al “malato”, che continuava la sua recita di perbenismo lucidandosi l'aureola che non doveva macchiarsi.
Ma mi conveniva assecondarlo. Così sarebbe stato calmo almeno per un poco.

La mattina dopo non andai al lavoro. Appena Andrea uscì, chiesi agli amici aiuto per organizzare la mia fuga nella mia città natale. Sarei andata a vivere dai miei genitori, in attesa di trovare una sistemazione autonoma.
Facemmo i bagagli in poco tempo e li spedimmo, erano molti. Presi il treno con Ciro.
Dall'altra città, più tranquilla, finalmente raccontai (non lo avevo mai fatto).
E presi accordi con l'avvocato. Che mi spiegò che stavo rischiando guai davvero grossi...

L'avvocato cui ero ricorsa per la separazione mi aveva spiegato che la mia fuga a casa dei miei genitori poteva mettermi nei pasticci: allora esisteva il reato di abbandono del tetto coniugale.
Mi aveva chiarito che quel che subivo non era dimostrabile: Andrea era un perbenista ed era stato molto attento a celare la sua violenza su di me.
Mi disse inoltre che mi stavo anche esponendo al rischio di farmi togliere Ciro con quella fuga...
L'avvocato era una signora che faceva il suo lavoro in modo molto progressista, e deplorava l'inesistenza della protezione contro il maltrattamento domestico. Ma la realtà era questa.
Si era tra la fine degli anni '70 e i primi '80.  Non c'erano le strutture che ci sono adesso, e nessuno pensava a proteggere curando anche il maltrattante, al massimo si pensava ad una pena, a patto che si riuscissero a dimostrare violenze fisiche consistenti.
Mi affrettai a tornare. Ma con me venne una persona della mia famiglia, trasferendosi a casa nostra.
Fu un tempo molto lungo. In mezzo ci fu la separazione in tribunale.
Andrea aveva subito tentato di strattonare, e strapazzare quella persona. Ma a differenza di me lei non temeva di spaventare nessuno con i suoi urli. Aveva una voce potente e molto acuta. Bastò una sola volta. Andrea immediatamente staccò le sue mani da lei. Fu come se avesse preso la scossa...
Fu lei a vincere. Rimase da noi sino a quando Andrea, esasperato dalla sua presenza, se ne andò portandosi via il suo cuscino, lasciandomi le chiavi, e giurandomi vendetta.

Quello fu l'inizio della grande sofferenza di Ciro. Aveva tre anni ed era innamorato del suo papà. Attraverso il bambino Andrea si prese la sua vendetta. Mai finita. Questo per me è il nodo davvero più doloroso.

La prima vendetta messa in atto da Andrea fu disattendere quanto il giudice aveva stabilito circa gli incontri tra padre e figlio.
Nella mia ingenuità avevo pensato che non sarebbe stato nemmeno necessario regolamentare: non avrei certo ostacolato gli incontri... che avvenissero pure in qualsiasi momento... mi pareva assurdo stabilire quante volte la settimana, o per quanto tempo e così via... padre e figlio, a mio parere, si sarebbero visti ogni volta lo avessero desiderato. 
Il giudice fu irremovibile e regolamentò.
Ed Andrea disattese.
Di colpo Ciro non vide più suo padre per un tempo lunghissimo. Mentre prima era abituato a vederlo ogni giorno.
Iniziò a soffrirne tremendamente: lo amava moltissimo. Il suo sguardo cambiò, si fece molto triste.  Persino dimagrì.
Sino a poco tempo prima, eravamo stati complici, Andrea ed io, a non voler mostrare quel che accadeva tra noi a nostro figlio...  Andrea non voleva perdere la sua immagine di papà buono, ed io non avevo mai urlato.
E Ciro non si era mai svegliato durante le sceneggiate notturne: pareva avesse un sonno non disturbabile da qualche rumore di cocci per rottura di oggetti, o tonfo per “cadute” di... masse più o meno pesanti.
Anche se, in realtà, non mi è possibile sapere cosa già avessero percepito le antenne sensibili del piccolo...
Telefonai ad Andrea al lavoro (i cellulari non esistevano ancora): era così tremendo veder piangere Ciro di nostalgia.
Andrea mi rispose che era questo che avevo provocato con il mio comportamento, che era colpa mia, che mi arrangiassi... 
Non ci potevo credere: Andrea era persona ancor più preoccupante.
Provai a parlare con Anna, mia suocera.
Ancor peggio: era furibonda con me.
Mi accusò di essere una traditrice, di aver scacciato suo figlio per poter accogliere chissà quale amante. Di esser persona indegna... e così via.
Capii che le avevo fatto un torto terribile (le avevo dimostrato che si poteva fuggire da quella folle galera da lei accettata? Non so) e non avrei avuto aiuto.
Pensai che se Andrea voleva vedermi soffrire negandosi a Ciro, la cosa migliore era non dirglielo più. Distrarre il bambino nel modo più efficace possibile ed aspettare.
Tra mamme lavoratrici avevamo costituito una rete di aiuto reciproco: quando una era impegnata oltre gli orari di apertura dell'asilo, o doveva uscire la sera, la mamma libera da impegni fuori casa, a turno, teneva i figli delle altre.
I bambini si divertivano a continuare a giocare tra loro e stare con gli amichetti a cena, e poi a dormire assieme. Noi mamme avevamo un po' di libertà.
E così intensificai la mia presenza partecipativa in questa rete: a casa nostra o da altri, Ciro ebbe ben poco tempo senza distrazione.
Poi si sa, i bimbi hanno grande capacità di adattamento.
Il tempo passò, ed Andrea riprese a farsi rivedere da Ciro con assiduità.
Ma cambiò strategia vendicativa.
Nei suoi incontri con il bambino, iniziò a spiegargli che la mamma aveva scacciato il papà da casa, per questo non si erano visti così a lungo..
Perché la mamma era cattiva. Neppure aveva desiderato che nascesse: era nato perché il papà lo aveva voluto.
E mia suocera aiutava il figlio in quest'impresa di demolizione della mia immagine.
Ciro tornava a casa arrabbiatissimo con me e mi chiedeva perché avessi scacciato il suo povero papà, perché non gli volessi bene... perché... perché... era disperato, deluso da me, indignato che non gli fornissi giustificazioni comprensibili... 
Gli rispondevo: <ma no... non l'ho scacciato... Papà ed io ci siamo separati perché litigavamo>
Ma per il bambino non era una spiegazione accettabile. Pensava che anche lui litigava spesso (e a volte faceva a cazzotti anche) con gli amichetti, eppure stavano sempre insieme... contenti di stare assieme... cosa diavolo gli stavo raccontando? Dicevo bugie.
Ecco... il guaio più grosso: l'operazione capillare, sistematica ed insistente di costruzione per Ciro dell'incertezza della realtà che Andrea e sua madre misero in atto (mio suocero mai partecipò).
Operazione che iniziò in quel momento e mai finì. Fu il danno che, associato al dolore di non poter vedere il papà quando lo desiderava, causò problemi molto seri al mio bambino, e poi al ragazzo, e poi...
La mamma era buona o cattiva?
Ciro viveva con me e riceveva da me i messaggi che il mio comportamento, in concreto, gli trasmetteva... poi incontrava il padre e la mia figura diventava quella di una strega. Tornava inferocito. Mi guardava con odio. Poi gli passava.
Io non facevo altrettanto, naturalmente. Demolire l'immagine del papà sarebbe stato criminale. Gli confermavo che papà era buono... ma questo non aiutava Ciro a capire. Ne' gli forniva le sicurezze che servono per crescere.
Ora era Ciro il solo maltrattato (o forse no). Ed io non ne ebbi coscienza.
(Lo scrivo senza criticare la Giulia di allora... semplicemente... andò così)
Perché purtroppo per anni sottovalutai questo gravissimo problema di costruzione di una realtà instabile e mutevole nella mente del mio bambino...
Quando capii e mi feci aiutare, era già troppo tardi.

Auguro a chi ha a che fare con una situazione di maltrattamento di esser capace di muoversi con l'urgenza necessaria denunciando, facendosi aiutare.
Sottovalutare i danni, non vederli perché dall'interno e da vicino si è “miopi” è facile.
L'aiuto esterno è fondamentale.
E il maltrattante deve essere aiutato a capire. A curare il suo malessere.
Ora ci sono i mezzi adeguati a ciò.
Affettuosamente,
Giulia 










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