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venerdì 20 dicembre 2019

DOTTORE MIO FIGLIO NON "MI MANGIA"

“Dottore mio figlio “non mi mangia”.
(Tratto dal libro "Come nutrire mio figlio")
Questa è la classica frase usata da alcune mamme appena entrano in studio.
Il pediatra guarda il bambino, un simpatico marmocchio che non sta fermo un momento e, anche durante la visita, muove gambe o braccia. Insomma, un concentrato di forza, di energia e di vitalità.
Il pediatra pesa e misura il bambino e, nella maggior parte dei casi, il peso e l’altezza risultano nella norma per l’età. I genitori o la mamma e la nonna si guardano sbigottiti e dicono che non è possibile, perché il bimbo non mangia niente, o quasi.
Questa è una situazione che capita abbastanza frequentemente nell’ambulatorio del pediatra. Bambini molto vivaci che a tavola “non danno soddisfazione” ai genitori. Anche l’espressione “non mi mangia” sta a significare non mangia “per me”, ma il bambino, cari genitori, non deve mangiare per voi, ma per se stesso.
All’inizio dello svezzamento, è piuttosto frequente che il bambino non voglia mangiare, perché ha bisogno di conoscere le novità, provare a gustare i cibi. Non bisogna preoccuparsi se il bambino è nervoso, non apre la bocca, gira la faccia dall’altra parte, rifiuta il cucchiaino. In queste situazioni che si presentano frequentemente lasciate “stare, non insistete, non distraetelo con giochi.
“Evitate atteggiamenti oppressivi, cercando di forzare il rifiuto del bambino, oppure permissivi, offrendogli solamente cibi che gradisce perché generalmente non portano a buoni risultati.
Innanzitutto, è importante prevenire il problema offrendo al bambino durante lo svezzamento ed entro il primo anno, anno e mezzo di vita, la maggior parte degli alimenti, in modo da abituarlo a gusti, odori, sapori, consistenze e aspetti differenti del cibo.
Ci possono essere anche dei motivi, frequenti e anche banali, che sono alla base del rifiuto del cibo quali, per esempio:
•in quel momento, non ha fame;
•è stanco, non ha voglia di mangiare, si strofina gli occhi e ha voglia di dormire;
•la pappa non gli piace, perché è troppo densa o troppo liquida e ha difficoltà a ingurgitarla;
•ha già assunto alimenti fuori pasto e non ha più fame;
•l’ambiente non è confacente, perché troppo rumoroso o carico di tensione, ansia o il bambino lo avverte come ostile;
•non sta bene, perché sta incubando qualche malattia;
•un cambiamento in famiglia come l’arrivo di un fratellino o di una sorellina, un trasloco o situazioni di ansia in famiglia (lutto, separazione) o a scuola o nello sport;
•un cambiamento nella routine quotidiana o la “partenza per una vacanza, un trasferimento di città ecc.
Ogni bambino presenta delle caratteristiche alimentari proprie: ci sono bambini che mangiano in abbondanza e riescono a mantenere un peso nella norma, altri che tendono ad avere la “pancetta” già nei primi anni di vita, altri ancora che manifestano poco interesse per il cibo a tavola, perché mangiano fuori pasto.
Ci sono piccoli despoti i cui genitori, pur di vederli mangiare, instaurano una specie di “coprifuoco” in casa e vivono nell’ansia continua del cibo, che diventa l’argomento di conversazione e di conflitto principale tra di loro, e tra loro e i nonni.
I bambini, che in questo modello “non mi mangia” sono costituzionalmente di scarso appetito, ne approfittano per ridurre in schiavitù queste famiglie, che per far mangiare il bambino adottano diete inadeguate, spesso con cibi preconfezionati o inadatti per i bambini con vari tipi di “cibo spazzatura” (junk food).
Alcune di queste famiglie fanno contenti i produttori di farmaci, vitamine, integratori, pappe reali, erbe ecc., che vengono somministrati in quantità. Anni fa ho visto in un albergo una mamma che somministrava religiosamente a tavola al figlio di 6-7 anni, magro e vivacissimo, 5-6 tipi diversi di “prodotti “integratori, vitamine). Il padre guardava con aria triste la moglie e il figlio, e un giorno è uscito con la frase “con tutta sta roba che prende mio figlio dovrebbe essere come Schwarzenegger”.
Un equivalente al non mangiare è quello di passare ore ed ore a tavola “mangiando” (si fa per dire) davanti a un piatto di cibo che non finisce mai.
Un consiglio ai genitori è parlare di questo problema con il pediatra, ma mai davanti al bambino.
Ricordare rado che a in questi casi bisogna adottare due strategie:
1) "OSSERVARE SENZA REAGIRE"
2) "LA CONGIURA DEL SILENZIO" (non parlate del "problema": lo aumentereste)
Passi di: Alberto Ferrando. “Come Nutrire Mio Figlio”.


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