Dubbi sulla crescita di tuo figlio?
Recensione
del libro “Come crescere mio figlio” dal sito “consumatrici.it”
I dubbi dei
genitori sulla crescita dei propri figli sono, da sempre, numerosissimi. Il
libro Come crescere
mio figlio (pagg. 336, prezzo euro 19,90, edizioni LSWR) (acquistabile in tutte le librerie e anche su Internet e in occasione di presentazioni come il giorno 21 Ottobre
presso sede Unicef Genova) prepara mamme e papà al difficile compito di
genitori: in particolare, da prima ancora che lo diventino fino ai 6 anni di
vita dei figli. Abbiamo chiesto quattro consigli su diverse problematiche al
suo autore, il dott. Alberto Ferrando, specialista in Clinica Pediatrica e
Professore a Contratto in Pediatria ambulatoriale al Corso di Laurea in
Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Genova.
Dottor
Ferrando, quali sono gli errori più comuni commessi dai genitori nella crescita
dei loro figli e come possono essere evitati?
«Non
parlerei di errori, ma di mancanza di conoscenza delle situazioni. La
conoscenza è la miglior medicina. I genitori tendono a dare importanza
soprattutto ad alcuni aspetti, come l’alimentazione nel primo anno di vita.
Temono febbre e malattie varie, mentre purtroppo altri aspetti più critici
vengono sottovalutati. La colpa di tutto questo è anche degli operatori
sanitari. Per questo, ho sentito l’esigenza di trattare, nel mio libro, anche la
prevenzione degli incidenti; tenuto conto che la prima causa di mortalità e di
ricovero nelle persone da 1 a 44 anni sono, appunto, questi ultimi e non le
malattie. E di questi, gli “incidenti da traffico” e l’annegamento
costituiscono la prima causa di morte da 1 a 4 anni. C’è ancora poca
consapevolezza e conoscenza della pericolosità del soffocamento da corpi
estranei. I genitori possono prevenire questo problema offrendo ai figli
un’alimentazione adeguata all’età; ma quante morti – o danni irreversibili – si
eviterebbero effettuando una manovra semplicissima che spesso è sconosciuta. I
nostri bambini trascorrono troppe ore a scuola perché gli operatori scolastici
non siano istruiti in merito. In più, negli ultimi anni la società si è
profondamente modificata e i bambini vengono allevati con grandi sensi di colpa
da parte dei genitori. Questi ultimi dovrebbero abituarsi a dire dei NO ai
propri bambini, per abituarli alla vita reale. I figli hanno bisogno di poche
cose: affetto, compagnia e qualche “no” in più.».
Febbri
improvvise, pianti disperati di chi non può ancora esprimersi a parole. Come si
può distinguere un’emergenza da una problematica di routine?
«Pur con
qualche eccezioni, l’istinto materno non sbaglia. È infatti la mamma che, più
di ogni altra persona, conosce il figlio; avendo instaurato con lui un rapporto
prima ancora di farlo nascere. Un buon pediatra dovrebbe promuovere la cultura
dell’IO MATERNO. Eppure – in Italia e forse anche oltre – si tende a
colpevolizzare la mamma e, in generale, la famiglia. È invece fondamentale che
la crescita di un figlio venga affrontata il più serenamente possibile, con una
preparazione adeguata, di cui spiego nel mio libro. Spesso, l’affannosa ricerca
di informazioni – soprattutto sulla rete – crea confusione e insicurezza.
Premesso questo, sono i comportamenti inusuali del figlio che devono allertare
i genitori. Le malattie, infatti, non si manifestano sempre con la febbre.
Occorre quindi porre attenzione, indipendentemente dalla piressia, a svariati
aspetti: un cambio repentino del comportamento o del ritmo sonno-veglia; una
respirazione differente; uno sguardo spento o supplichevole. In questo, la
famiglia va aiutata a rinforzare le proprie responsabilità e a crescere. La
nostra società è invece molto deresponsabilizzante e spesso chiama il 118
inutilmente: ma in caso di soffocamento, di shock anafilattico o di arresto
cardiaco, spesso si interviene troppo tardi. Per queste tipologie specifiche,
non si può delegare soltanto l’apparato medico: è la famiglia che, per prima,
deve intervenire.».
In che
modo devono essere preparati i bambini ai cambiamenti sostanziali in famiglia,
come l’arrivo di un fratellino o di una sorellina, un lutto o una separazione?
«Dicendo
loro la verità, bella o brutta che sia. Per non vedere soffrire i figli, spesso
i genitori adottano strategie sbagliate: per esempio, ritardano la
comunicazione di un lutto giustificando, per esempio, l’assenza della persona
per una lunga vacanza. Ma se il bambino viene a conoscenza della verità da altre
persone perderà per sempre la fiducia nel genitore. Stiamo purtroppo vivendo in
una società – fondata più sull’estetica che sull’etica – in cui gli aspetti
fondamentali vengono sottovalutati. Ogni distacco (dal latte materno tramite lo
svezzamento, dal nido domestico in età scolare, ecc.) comporta un dolore che
però aiuta a crescere. I pediatri possono consigliare i genitori su come
spiegare ai bambini determinati eventi drammatici. Possono farlo stabilendo,
per esempio, una relazione umana con mamma e papà; i soli interlocutori, almeno
nei primi 5 anni di vita del bambino, che fungono da tramite tra i medici e i
figli.».
Quanto lo
stile di vita dei genitori, soprattutto quello della madre, incide sullo
sviluppo del bambino, e ancora prima del feto?
«Come ho
specificato nella parte iniziale del mio libro, fumo, alcool e droghe possono
incidere marcatamente perfino sul feto. Consigliando i futuri genitori,
propongo loro una frase di Papa Giovanni Paolo II: “Riappropriati della tua
vita e fanne un capolavoro”. Programmare l’arrivo di un figlio è anche un
momento di analisi dell’esistenza dei genitori fino a quel momento. È quindi
un’occasione per migliorare lo stile di vita: poiché sarà il medesimo adottato
dal figlio. Non soltanto riguardo al comportamento e all’aggressività, ma anche
in tema di alimentazione. Dopo il primo anno di vita, contrassegnato da grande
attenzione dei genitori verso i cibi da somministrare, nella fascia di età 2-4
anni, spesso si consumano già alimenti nutrizionalmente non equilibrati. Non
bisogna dimenticare che nel primo anno e mezzo di vita, nel rispetto dello
svezzamento, il bambino dovrebbe essere abituato a mangiare di tutto.
Successivamente, infatti, il piccolo sviluppa la “neo-fobia”, rifiutando i cibi
che non sono di suo gradimento. In questo, devono essere i genitori a dare il
buon esempio: suggerisco loro, fra l’altro, almeno nel fine settimana, di
tornare a essere una famiglia tradizionale: seduti tutti insieme a tavola, con
i cellulari spenti.».
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