PIANTO DEL BAMBINO FINO A 1 ANNO:
Il pianto del bambino rappresenta, soprattutto nel primo anno di vita, l’unica modalità di comunicazione che possiede ed è pertanto importante conoscere e saperne riconoscere le cause principali tenendo conto che esiste un ampia variabilità individuale, da bambino a bambino, così come esistono vari tipi di pianto a seconda della causa scatenante.
Nelle età successive al primo anno il pianto compare soprattutto in caso di dolore fisico o emotivo e in situazioni particolari di stress come nei “capricci” di cui parleremo in un prossimo articolo.
PRIMO ANNO DI VITA:
Una domanda frequente che viene fatta al pediatra è “come mai piange e cosa faccio se piange”.
I bambini non sono delle macchine per cui dobbiamo abbandonare ogni automatismo e spiegare che non è possibile dare una unica risposta unica valida per tutti i bambini e per tutti i tipi di pianto perché le cause sono tante e solo chi è a contatto del bambino, e soprattutto, la mamma, che è già stato in contatto con il bambino nei mesi della gravidanza, può interpretare e capire la causa del pianto.
All’inizio non è facile ma l’istinto esiste anche in questi tempi “moderni”. Istinto che ha portato l’uomo fino ai giorni d’oggi dopo milioni di anni. Tenete conto che mamma e bebè sono stati già insieme durante i 9 mesi di gravidanza e hanno già comunicato e si sono “parlati”e che il bebè e la mamma hanno il loro istinto che ha permesso alla specie umana di arrivare ai giorni nostri.
“Vecchi” studi di quando nelle neonatologie, in ospedale, esistevano ancora i nidi (ora pressoché ovunque, almeno in Italia, si procede a far dormire il neonato insieme alla mamma: “rooming in”) avevano dimostrato che già al primo giorno di vita del/la neonato/a tante mamme riconoscevano il pianto del proprio figlio da quello di altri bebè e dopo 2-3 giorni lo stesso avveniva per tutte le mamme.
Non esistono corsi prenascita, libri che possano insegnare questo e supplire alla forza dell’istinto.
Magari la mamma, nei primi giorni, è stanca e un po' confusa soprattutto se l’ambiente intorno è prodigo di consigli non richiesti o se ha avuto spiegazioni sulla gestione del bebè un po' semplicistiche come una volta e , purtroppo ancora oggi, avviene.
Qui l’elenco è lungo ma cito alcune perle di (non) saggezza da evitare, largamente somministrate sempre precedute dall”imperativo”, devi:
- Devi seguire degli orari per le pappe da subito così lo “abitui” ☹
- Se dorme sveglialo per farlo mangiare (qualche eccezione va fatta per i prematuri)
- SE piange lascialo piangere così vedrai che la smette (alcuni aggiungono: si dilatano i polmoni)
- Se allattato artificialmente seguire dosi rigide anche se piange, dalla fame, appena finisce la poppata
- Oppure il consiglio impossibile: “non farlo mai piangere” (con aggiunta che se piange gli “viene l’ernia)
- “Non fare così”: “prende il vizio”, spesso associata alla frase che manderebbe in bestia anche un santo: “sei nervosa” (veramente non lo ero prima di vederti) oppure: “fai così ma sbagli….io….con i miei figli)*.
- Devi stare a dieta (la mamma che allatta può mangiare tutto, eccetto alcuni alimenti che possono agitare il bebè come sostanze che contengono caffeina o alcol o farmaci o droghe o fumo)
- Devi mangiare per due (vero ma uno dei due pesa poco più di 3 Kg e non 50 KG)
*i sistemi di educazione e di accudimento del neonato e dei lattanti sono cambiati negli ultimi decenni. Non dobbiamo farne una guerra e cercare chi ha torto o ragione ma dobbiamo sapere che le cose “umane” (e non solo in medicina) , in base a osservazioni seguite da studi, subiscono dei cambiamenti per cui è necessario spiegare ai genitori, e ai nonni questo: capita spesso che una nonna mi dica: “dottore ma se proprio lei con mia figlia mi aveva detto che…..doveva dormire a pancia in giù o dovevo comportarmi in un certo modo”. A domande come questa rispondo spiegando il perché delle cose e anche ricordando che una delle cose più sicure e certe al mondo è il cambiamento.
Pensate ai seggiolini per auto
Se proprio volete dei consigli:
Tornando alle cause del pianto ricordiamo che le cause fisiologiche più frequenti nel primo anno di vita, e variabili molto da bambino a bambino in quanto ci sono bambini con una bassa soglia del dolore che piangono molto più facilmente, sono:
Fame, sonno (ha sonno ma si “rifiuta di addormentarsi”), deve fare popò, ha fatto popò e vuole essere cambiato/a, necessità di contatto, e poi:
- FAME: mai, mai, mai fate patire la fame al bebè con dosi razionate, parlo ovviamente del bambino allattato artificialmente in quanto con l’allattamento al seno ormai tutti consigliano una alimentazione “a richiesta” (almeno all’inizio). Importante è diluire correttamente il latte e ricordare che le dosi consigliate sulla confezione sono solamente indicative e possono essere insufficienti per alcuni bambini e troppe per altri. Se il bambino ha fame inevitabilmente piangerà per farsi capire e succede non raramente che vengano diagnosticate delle coliche quando il bebè ha solo tanta fame
- SONNO: Alcuni bambini all’inizio, e la maggioranza dopo i primi mesi, diventano irritabili, nervosi e, spesso, piangono prima di addormentarsi. Dormire vuol dire staccare dall’ambiente e avviene una specie di ribellione finchè, dopo aver pianto ed essersi stancati, si addormentano improvvisamente. Ora che lo sapete non agitatevi, troppo, e accompagnate il bebè al sonno con la vostra presenza, parlandogli dolcemente, facendogli ascoltare la musica e dopo i primi mesi leggendogli, ad alta voce, un libro (vedete l’iniziativa “Nati per leggere” e “Nati per la musica”).
- POPO’: se non riescono ad andare di corpo piangono, molto forte, si stancano e piangono di nuovo. Il pianto “da popò” è una causa frequente di accesso al Pronto Soccorso ove, dopo un clistere liberatorio, quasi sempre il piccolo sorride e torna lo stesso di prima. A volte è sufficiente fare dei massaggini alla pancia (Infant massage) o, se non va di corpo, stimolare lo sfintere anale con la punta del termometro o ricorrere ad una perettina che il vostro pediatra vi suggerirà.
- POPO’ 2: alcuni bambini piangono se debbono essere cambiati.
- PIANTO DA COCCOLE (vedi sotto, PUNTO 1)) : alcuni bambini (la maggior parte) vogliono il contatto con i genitori. E alla maggior parte dei genitori fa piacere il contatto con il bebè. E’ così da sempre. Evitate di ascoltare coloro che vi insegnano che se stanno in braccio prendono il vizio e parlatene con il vostro pediatra su quale può essere il sistema di gestione migliore per voi e vostro/a figlio/a. Ho seguito bambini che dopo un po' si “stufavano” di stare in braccio e volevano essere messi nella culletta e altri che hanno vissuto, come i cangurini nel marsupio attaccati alla mamma, utilizzando la fascia. Ogni bambino ha il suo temperamento e ogni relazione bebè mamma (e papà e nonni è unica).
- COLICHE: La colica è il pianto. Il lattante che ha le coliche che possono aumentare dalle prime settimane di vita al quarto mese piange disperatamente ed incosolabilmente. Le coliche (anche se il nome lo farebbe supporre) non sono causate dal mal di pancia o dall’aria nella pancia, come comunemente si ritiene per cui il povero bebè viene rimpinzato di gocce, fermenti e integratori di vario tipo, ma è un pianto inconsolabile e per un prolungato periodo senza che una evidente causa specifica. Molti continuano a ragionare in base ad un vecchio studio del 1954 ove si affermava (sulla nota Rivista medica Pediatrics) che il pianto prolungato e non consolabile del lattante era causato da una “colica” (dal greco Kolikòs da Kòlon), a cui molti aggiungevano il termine “gassosa” dando così la responsabilità all’intestino che produceva tanta aria con rumori intestinali e “scureggine”” diminutivo perché a volte la quantità di aria e il rumore è da “scureggione”. Da qui tante prescrizioni mediche con frequenti fallimenti. La prevalenza della “pianto inconsolabile” (detto colica) è variabilissima negli studi scientifici (dal 5% al 28%) a causa della mancanza di una chiara definizione universale. Veniva definita (formula di Wessel): pianto per almeno 3 giorni che compare nelle prime 3 settimane e aumenta fino al 3 mese e può durare 3 ore). Da rilevare che la colica non sempre si conclude entro il quarto mese di vita del bambino. Approfondimento sulle coliche qui: https://ferrandoalberto.blogspot.com/2016/08/coliche-gassose-cosa-sono-cosa-non-sono.html.
ALTRE CAUSE:
Il pianto può essere un sintomo di una malattia causata da problemi intestinali (invaginazione, volvolo, appendicite) oppure da male alle orecchie o alla gola o all’occhio e in tal caso è “diverso” ed è accompagnato da uno stato di prostrazione e sofferenza del bebè.
Ma nel stragrande numero di casi è determinato da situazioni fisiologiche come fame, fatica, collera, oppure come espressione di emozioni ma soprattutto il pianto rappresenta un sistema di comunicazione necessario per la sopravvivenza, sviluppatosi in milioni di anni.
Possibili altre cause:
- Intolleranza alle proteine del latte vaccino: tema dubbio e controverso.
In recenti revisioni della letteratura è stata rilevata la mancanza di prove di efficacia per sostituire il latte adattato con latte idrolizzato in caso di colica. Anche la sostituzione con latte di soia non ha dimostrato benefici. Ma starà al pediatra curante valutare se consigliare o meno un periodo di prova con un latte, per lattanti, privo di proteine del latte vaccino (latte di riso, di soia o idrolisati).
- Infezione delle vie urinarie. In assenza di febbre, calo ponderale, vomito o
diarrea, il pianto o l’irritabilità o il calo marcato dell’appetito possono essere associati a una infezione delle vie urinarie. Un “semplice” esame delle urine può confermare una infezione se si riscontra aumento dei globuli bianchi e presenza di nistri, spesso presenza anche di globuli rossi e si proteine.
- Assunzione di droghe nel periodo prenatale. L’utilizzo di stupefacenti o di
metadone nella gestante può provocare nel lattante pianto, irritabilità, sudorazione e diarrea, con una comparsa entro la seconda settimana.
- Malformazioni congenite cardiache rare come anomalie delle coronarie )la più nota è l’origine anomala della coronaria sinistra. Ma anche cardiopatie cianogene possono essere associate a crisi di pianto.
- Malattia da reflusso gastroesofageo. La diagnosi di malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) con conseguente terapia ha avuto una esplosione (aumento del 700%). Abbiamo assisstito ad un vero boom di diagnosi e di prescrizioni di farmaci negli anni scorsi. Ora la situazione è stata fortemente e, fortunatamente, ridimensionata.
In assenza di diagnostica strumentale validata, la diagnosi si avvale di un test chiamato
Infant Gastroesophageal Reflux Questionnaire (I-GERQ), rivisto recentemente: I-GERQ-Revisited. Recenti linee guida indicano l’assenza di associazione tra RGE patologico con pianto e irritabilità. La sola presenza di pianto o disturbi gastrointestinali non è sufficiente a porre la diagnosi di reflusso gastroesofageo patologico.
Da notare che l’efficacia della terapia non farmacologica nella cosiddetta MRGE della prima infanzia (favorire pasti frequenti, evitare l’esposizione al fumo di sigaretta, favorire le passeggiate fuori casa, ridurre il tempo in cui il bambino sta sdraiato o seduto) fa riflettere su come il modello di accudimento del lattante nella cultura occidentale si sia eccessivamente allontanato dalla storia biologica della specie, quando, al contrario, il bambino viveva sempre in braccio alla madre in una naturale posizione antireflusso, all’aperto, nutrito di continuo, e gli episodi di pianto, pur presenti, erano nettamente ridotti come durata giornaliera.
In conclusione:
Il pianto è la modalità comunicativa che dalla nascita il bambino utilizza con l’obiettivo di favorire la propria sopravvivenza.
I genitori debbono sapere che il pianto è un segnale, un sintomo o un segno che va interpretato e compreso in una ottica non solo di terapia del sintomo dolore ma cercando di comprendere le necessità e il temperamento del bambino e la situazione e le dinamiche famigliari.
IN alcuni, non rari, casi, può essere necessario avvalersi anche del supporto, in assenza di aiuti famigliari costruttivi, o in presenza di conflittualità in famiglia, di un aiuto da parte, oltre che del pediatra, di un/una pedagogista o di un/un psicologo/a.
Una possibile causa da non dimenticare mai e che si potrebbe manifestare con irritabilità e pianto del neonato e la depressione del genitore (in genere la madre ma sono in aumento i casi di depressione del padre spesso associati alla depressione materna) con conseguenti rischi di abusi o di maltrattamenti del bambino.
Qualche considerazione generale e “antropologica”:
Pianto come segnale di buona salute.
Solo un bambino in buone condizioni di salute può permettersi di piangere vigorosamente; il consumo calorico che il pianto vigoroso richiede non può essere considerato di poco conto.
Il pianto stimola un l’accudimento dei genitori, in alcune situazioni, più efficacemente di uno stato di quiete: osservazioni di antropologi hanno segnalato una maggiore sopravvivenza di lattanti con le coliche, rispetto a bambini tranquilli, in società tradizionali. In certe situazioni, in un ambiente difficile e con scarse risorse nutrizionali e idriche, ad esempio in un’area dell’Africa subsahariana, su tredici bambini osservati in tre mesi ne morirono sette, uno solo con le coliche, mentre gli altri sei erano lattanti “tranquilli”.
Un “cattivo temperamento” infantile potrebbe quindi essere un tratto geneticamente vantaggioso in situazioni ambientali difficili.
In un altro studio antropologico di una popolazione di cacciatori raccoglitori della Nuova Guinea una neonata estremamente vigorosa e con un forte pianto fece cambiare comportamento alla madre inizialmente decisa di abbandonarla nella foresta perché già con sufficiente prole dello stesso sesso.
PUNTO 1: Pianto e attaccamento (PIANTO DA COCCOLE).
Il pianto come segnale di separazione, con l’obiettivo di rimanere in continuo contatto con la madre, evidente in molte specie animali e soprattutto nei primati, può essere stato la partenza per lo sviluppo dell’ attaccamento, modello comportamentale dell’ esistenza umana che ci accompagna dalla culla alla tomba.
La funzione biologica principale dell’ attaccamento verso il genitore, nella teoria di Bowlby e Ainsworth, è la protezione dei piccoli dai pericoli. La madre è così usata come base sicura per ogni attività di esplorazione del bambino in modo tale che possa poi sviluppare le successive abilità sociali. Nella costruzione dell’ attaccamento alla figura primaria di sostegno che si compie normalmente entro il sesto - settimo mese di vita, il pianto riveste una fondamentale importanza come strumento di comunicazione del bambino, utilizzato nel momento in cui avviene un distacco o una separazione.
La prontezza con cui la mamma risponde al pianto del lattante e la sua capacità a promuovere un’ interazione relazionale con esso favoriscono la costruzione del comportamento sicuro di attaccamento. La diversa sensibilità della mamma a rispondere ai segnali del bambino, il temperamento del bambino e l’entità e la natura della loro interazione possono portare alla costruzione di un attaccamento insicuro. In questa situazione, il bambino può piangere intensamente non solo se la mamma è assente ma anche quando è presente. Piange se preso in braccio o se rimesso a sedere: si tratta di bambini che richiedono insistentemente il contatto materno, ma allo stesso tempo hanno una risposta ambivalente alla presenza materna.
Da sottolineare che la componente fondamentale del comportamento materno per la costruzione dell’ attaccamento non è la cura materiale offerta dalla madre, ma l’interazione sociale con il proprio bimbo, cioè la capacità di rispondere adeguatamente ai suoi segnali.
Il pianto alla separazione dalla madre o al suo riavvicinarsi, già evidente a partire dal sesto mese di vita, non è pertanto un capriccio o un vizio del bambino, ma il modello di espressione del suo specifico tipo di attaccamento alla figura primaria di sostegno: sicuro, evitante, ansioso, disorganizzato. È ormai evidente che “l’ ignoranza sulla natura del comportamento di attaccamento, insieme con la convinzione che i bambini debbano presto acquistare indipendenza e autonomia, hanno portato a metodi educativi che espongono inutilmente bambini e genitori a una grande quantità di angoscia e disagio”.
LA PAURA DELL’ESTRANEO (dal 7-8 mese)
La paura dell’estraneo è istintiva e presente in quasi tutti i bambini a partire dai 7-8 mesi di vita, aumentando nei mesi successivi con sensibili variabilità tra bambino e bambino.
Nei primi mesi di vita il bambino non distingue tra estraneo e persona nota. Al 7-8 mese distingue il se e i volti noti. La capacità cognitiva per comprendere e accettare l’ estraneo compare non prima della fine del secondo anno di vita.
La paura dell’estraneo rappresenta un modello di comportamento uguale in ogni cultura e non è influenzato dall’ apprendimento: compare alla vista di un volto umano, maschile piuttosto che femminile.
La depressione postpartum (DPP) è la più frequente complicanza della nascita e ha una prevalenza del 12,9% nel primo anno di vita e un’incidenza del 14,5% nel primo trimestre dopo la nascita, con dati italiani sovrapponibili a quelli mondiali [47-48]. La DPP può influenzare la prole per via biologica, tramite la trasmissione genetica materna, o attraverso l’ ambien- te, cioè il vivere con un genitore depres- so. Numerose sono le associazioni tra DPP e bambino: compromissione delle facoltà cognitive, disturbi del comporta- mento di tipo internalizzato o esternaliz-
Bibliografia:
- Quaderni acp 2011; 18(2): 80-85 “Il pianto. Natura, significato, clinica e prevenzione nel primo anno di vita” - Costantino Panza Pediatra di famiglia, ASL Parma: https://acp.it/assets/media/Quaderni-acp-2011_182_80-85.pdf
- “Primo Soccorso Pediatrico” A. Ferrando, ED. LSWR
- “Come crescere mio figlio” A. Ferrando, Ed. LSWR
- “Il libro della nanna” AFerrando, Ed. LSWR
- “Come nutrire mio figlio”, A Ferrando, Ed. LSWR
E relativa biografia medica
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