giovedì 16 maggio 2013

NON FACCIAMO ESAMI INUTILI O DANNOSI


Cari Genitori
Sono in viaggio per Roma per partecipare alla prima riunione di un movimento “FARE DI PU’ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO” di una importante associazione (slow medicine. Sito www.slowmedicine.it che ha anche un fruppo facebook).
In medicina si sta tagliando dappertutto e non solo si stanno riducendo le prestazioni e si aumentano i ticket. Continuando di questo passo la gente dovrà pagare un Sistema sanitario che darà sempre di meno e poi si troverà a doversi pagare tante prestazioni o a pagare ticket alti.
Quotidianamente debbo mandare molti bambini in privato non per scelta ma per obbligo (pensate solo alla odontoatria e alle consulenze psicologiche: il pubblico è sottofinanziato, non si assume quando uno va in pensione (almeno personale sanitario, amministrativi si tanto che negli ospedali il numero di perosnale sanitario (medici, infermieri sta calando e sta prevalendo personale amministrativo L ). Qui sotto una spiegaziione. Sul sito www.choosingwisely.org  trovate 138 esami o pratiche poco utili/inutili se non dannose!!!!! Evitando esami inutili si riducono gli sprechi. Il lavoro iniziato va fatto insieme:operatori sanitari e cittadini. L’obiettivvo non è il risparmi ma evitare o almeno ridurre gli sprechi che in sanità, se leggete sotto, impegano dal 20 al 40% delle risorse
Alberto Ferrando

Si moltiplicano ai più alti livelli anche in Italia gli allarmi sulla possibile sostenibilità economica del Servizio Sanitario, i cui costi appaiono in forte e continua crescita.
Per ridurre i costi della sanità senza limitarne gli indiscussi benefici sulla salute delle persone, SLOW MEDICINE propone, in primo luogo, di “utilizzare in modo appropriato e senza sprechi le risorse disponibili”.
Da tempo è stato evidenziato che molti esami e molti trattamenti chirurgici e farmacologici largamente diffusi non apportano benefici per i pazienti e anzi rischiano di essere dannosi. Si tratta di esami e trattamenti non supportati da prove di efficacia, che continuano ad essere prescritti ed effettuati per molteplici ragioni: per abitudine, per soddisfare pressanti richieste dei pazienti, per timore di sequele medico legali, perché spiegare al paziente che non sono necessari richiede più tempo, per interessi economici, perché nelle organizzazioni sanitarie viene premiata la quantità delle prestazioni più della loro qualità e appropriatezza, per dimostrare al paziente di avere una vasta cultura scientifica o per applicare in modo acritico il concetto del “fare tutto il possibile”.
Questi esami e trattamenti rappresentano un vero e proprio spreco di risorse, e spesso un danno per chi li fa (si pensi alle dosi di raggi ).
Per ridurli è necessario agire in più direzioni: ci vuole in primo luogo una nuova consapevolezza e un’assunzione di responsabilità da parte dei medici e dei cittadini/famiglie/pazienti. I primi  sottoposti a forti pressioni da parte di aziende di prodotti farmaceutici, di presidi e di servizi e condizionati dalla concorrenza di colleghi così scrupolosi da prescrivere tanti esami (attenti ai “boutique doctor”, dall’informazione distorta fornita da corsi, seminari, congressi organizzati con lo scopo di enfatizzare l’efficacia di nuove terapie e strumenti diagnostici, e anche dagli stessi pazienti che traggono informazioni da riviste divulgative o da siti internet sostenuti dalle industrie.
Occorre che i cittadini si rendano conto che per la loro salute non sempre “fare di più significa fare meglio” e che non sempre il medico che prescrive più esami e prestazioni è il medico migliore; l’informazione a tutti i livelli dovrebbe essere più sobria, meno sensazionalistica e libera da conflitti di interesse; nelle organizzazioni sanitarie dovrebbe essere premiata la qualità e appropriatezza delle prestazioni più della loro quantità.
Per cominciare ad attivarsi in questa direzione Slow Medicine lancia il progetto “FARE DI PIÙ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO”, molto simile a quello già in atto negli Stati Uniti con il nome di “CHOOSING WISELY” http://choosingwisely.org/, promosso da nove società scientifiche USA e da un’associazione di consumatori.
La storia di CHOOSING WISELY
L`OMS stima che una percentuale della spesa sanitaria compresa tra il 20% e il 40% rappresenti uno spreco causato da un utilizzo inefficiente delle risorse (WHO 2010).
Negli USA si valuta che l’ammontare delle prestazioni che non apportano nessun beneficio ai pazienti e di conseguenza rappresentano uno spreco corrisponda ad almeno il 30% della spesa sanitariai ii iii
Gli stessi studi sottolineano come, per limitare esami e trattamenti non necessari, che non solo fanno crescere oltre misura i costi ma possono anche danneggiare i pazienti, sia fondamentale il ruolo dei medici, dalle cui decisioni si stima dipenda circa l’80% della spesa sanitaria.
Già nel 2002 era stato lanciata, da parte della Fondazione ABIM (American Board of Internal Medicine Foundation), della Fondazione dell’ACP (American College of Physicians) e dalla Federazione Europea di Medicina Interna, la “Carta della Professionalità Medica per il nuovo millennio” iv: la Carta ha come suoi principi fondamentali il primato del benessere del paziente, la sua autonomia e la giustizia sociale. In particolare la Carta sottolinea l’impegno ad una equa distribuzione di risorse limitate e chiama in causa i medici perché si assumano la responsabilità dell’allocazione appropriata delle risorse e dell’evitare scrupolosamente test e procedure superflue, dato che “fornire servizi non necessari non solo espone i pazienti a rischi e costi evitabili ma anche riduce le risorse disponibili per gli altri” .
Nel 2010 Howard Brodyv, sottolineando la responsabilità etica di tutti i medici nei confronti della sostenibilità economica del sistema sanitario, lanciava la proposta che ogni società scientifica specialistica creasse “the Top Five List”, una lista di cinque test diagnostici o trattamenti che fossero prescritti molto comunemente dai membri di quella società specialistica, fossero tra i più costosi, esponessero i pazienti a rischi e che, secondo prove scientifiche di efficacia, non apportassero benefici significativi alle principali categorie di pazienti ai quali vengono comunemente prescritti.
La “Top Five List” sarebbe stata una raccomandazione su come, all’interno di quella specialità, si sarebbe potuto ottenere il massimo risparmio in termini di costi senza privare nessun paziente di benefici medici significativi.
Brody riportava come esempi di pratiche da ridurre la chirurgia artroscopica per l’osteoartrosi del ginocchio e molte modalità di utilizzo della tomografia computerizzata che, oltre a far crescere i costi, espongono i pazienti ai rischi delle radiazioni.
Sempre secondo Brody, una lista di cinque pratiche ad alto rischio di inappropriatezza aveva il vantaggio di lanciare all’opinione pubblica il messaggio che non si trattava di un “razionamento” dell’assistenza sanitaria per tagliare indiscriminatamente i costi ma che si stava intervenendo sulle cause più eclatanti di spreco nell’interesse dei pazienti. Per la definizione della “Top Five List” ogni società scientifica specialistica avrebbe dovuto costituire prima possibile un gruppo di studio di alto livello, che includesse professionisti con competenze specifiche in epidemiologia clinica, biostatistica, politica sanitaria e medicina basata sulle prove scientifiche (EBM).
Una volta raggiunto l’accordo sulla “Top Five List”, ogni società specialistica avrebbe dovuto stendere un piano di implementazione e di formazione dei propri membri, per dissuaderli dall’utilizzo di quel test o trattamento per determinate categorie di pazienti. Organizzazioni “ombrello“ come l’American Medical Association (AMA) avrebbero potuto esercitare una forte pressione sulle società specialistiche, in particolare su quelle più restie ad attivarsi.
Sempre nel 2010 Grady e Redbergvi, nel presentare la serie di articoli “Less is more” pubblicati negli Archives of Internal Medicine, insistevano sulla necessità di confutare il mito che “se un trattamento è buono, fare di più è sempre meglio”.
Mettendo in pratica il suggerimento di Brody un’associazione medica USA, la NPA (National Physician Alliance) vii, lanciava un progetto per individuare una lista delle 5 principali attività in medicina di famiglia, medicina interna e pediatria, nelle quali cambiamenti nella pratica potessero assicurare un uso più appropriato di risorse limitate e migliore qualità delle cure: venivano costituite tre commissioni le quali individuavano complessivamente 12 attività, visto che per tre di esse le scelte di medicina di famiglia e medicina interna si sovrapponevano.
Dato che era opinione comune dei medici che i pazienti si aspettassero da loro la prescrizione di quelle pratiche, si stabiliva di produrre dei video di formazione per supportare i medici nella comunicazione ai pazienti della loro decisione. Ulteriori video sarebbero stati prodotti per i pazienti per spiegare loro il razionale della raccomandazione, e cioè che i rischi superavano i benefici. L’effettiva implementazione della “Top Five List” avrebbe comunque dovuto rispettare i valori e le preferenze del paziente, oltre alla correttezza clinica e all’uso appropriato di risorse limitate.
La lista delle 12 pratiche veniva pubblicata nell’agosto 2011: tra queste, citiamo le indagini radiologiche per la lombalgia in assenza di segni neurologici e altre patologie, la densitometria ossea per le donne di età inferiore a 65 anni senza fattori di rischio, la prescrizione di antibiotici per la sinusite, l’effettuazione annuale di ECG o di esami di laboratorio in assenza di sintomi.
Una successiva analisi economica stimava che, se le pratiche contenute nella lista delle Top Five individuata dalla NPA fossero state eliminate, il risparmio sarebbe consistito in almeno 5 miliardi di $ all’annoviii.
La fondazione statunitense ABIM (American Board of Internal Medicine) basandosi sugli ideali della Carta della Professionalità Medica, sulla sfida di Brody, sulla serie di articoli Less is more e infine sul lavoro della NPA, ha successivamente lanciato l’iniziativa CHOOSING WISELYix con la collaborazione di Consumer Reports, organizzazione non profit e indipendente di consumatori.
Nove società scientifiche specialistichex hanno aderito fin dall’inizio al progetto e individuato ciascuna una lista di 5 test, trattamenti o servizi che fossero comunemente utilizzati nella propria specialità e il cui impiego avrebbe dovuto essere messo in discussione da pazienti e clinici: in tutto sono state individuate 45 pratiche (test/trattamenti) ad alto rischio di inappropriatezza.
Queste liste sono state rese pubbliche nel corso di un evento nazionale a Washington il 4 aprile 2012.
Pochi giorni dopo, l’8 aprile 2012, l’editoriale del New York Times “Do you need that test?” riportava testualmente: “Se i costi legati all’assistenza sanitaria devono essere riportati sotto controllo, i medici della Nazione dovranno svolgere un ruolo trainante nell’eliminare i trattamenti non necessari. Secondo varie stime, centinaia di miliardi di dollari sono sprecati ogni anno in questo modo. E’ dunque molto incoraggiante che nove maggiori gruppi professionali abbiano identificato 45 test e procedure (5 per ogni specialità) che sono usate comunemente ma dei quali non è dimostrato il beneficio per molti pazienti e che a volte possono procurare più danno che beneficio.”
Le nove società scientifiche aderenti fin dall’inizio all’iniziativa Choosing Wisely, che rappresentano quasi 375.000 medici, sono:
            -  American Academy of Allergy, Asthma & Immunology;
            -  American Academy of Family Physicians;
            -  American College of Cardiology;
            -  American College of Physicians;
            -  American College of Radiology;
            -  American Gastroenterological Association;
            -  American Society of Clinical Oncology;
            -  American Society of Nephrology;
            -  American Society of Nuclear Cardiology. In più altre società, organizzazioni di consumatori e organizzazioni mediche hanno successivamente chiesto di poter partecipare all’iniziativa, coinvolgendo medici e pazienti nell’individuazione di ulteriori test e procedure il cui utilizzo dovrebbe essere limitato.
Tramite Consumer Reports vengono messe in atto campagne di comunicazione che coinvolgono anche i cittadini e le loro associazioni. E' stata pubblicata, nell’ottobre 2012, dagli Annals of Internal Medicinexi una lista di 16 test radiologici tratta dai 45 test e trattamenti ad alto rischio di inappropriatezza individuati dalle società scientifiche nell’ambito dell’iniziativa
L’inappropriatezza in Italia
La stima dell’OMS, secondo la quale una percentuale della spesa sanitaria compresa tra il 20% e il 40% rappresenterebbe uno spreco causato da un utilizzo inefficiente delle risorse (WHO 2010), appare molto verosimile anche per l’Italia.
In molti settori è possibile evidenziare un sovra utilizzo di risorse, che emerge anche dal confronto dell’Italia con gli altri paesi sviluppati dell’area OCSE: si citano di seguito alcuni esempi, non certamente esaustivi.
Uno di questi settori, citato anche dalla sintetica relazione OCSE 2011 sul nostro paese, è rappresentato dalle tecnologie medicali, ad esempio in radiologia. Il numero di apparecchiature di RMN (Risonanza Magnetica Nucleare) e TAC (Tomografia Assiale Computerizzata), aumentato negli ultimi anni in tutti i Paesi sviluppati, nel nostro presenta nel 2010 un rapporto rispetto al numero di abitanti tra i più altixii: 22,4 RMN e 31,6 TAC per milione di abitanti, entrambi molto al di sopra della media OCSE (rispettivamente 12,5 e 22,6), vicini ai limiti superiori rappresentati da USA e Grecia. E anche le stime sul numero di esami effettuati ci pone ai primi posti tra i paesi OCSE.
Gli stessi radiologi, anche nella consapevolezza dei danni conseguenti ad un’eccessiva esposizione alle radiazioni ionizzanti, si stanno interrogando sull’appropriatezza degli esami radiologici che eseguono: sono davvero tutti necessari?
Un recente studio eseguito da alcuni di essixiii in Italia su prestazioni radiologiche ambulatoriali ha dimostrato l’appropriatezza solamente del 56% di queste. Questo vuol dire che il 44% delle prestazioni radiologiche ambulatoriali prese in esame poteva essere evitato senza recare alcun danno al paziente.
L’utilizzo molto più alto in Italia rispetto agli altri Paesi di tecnologie complesse in cardiologia, come gli impianti di pace-maker cardiaci con funzione resincronizzante e di defibrillatori per migliorare la funzione cardiaca e risolvere aritmie malignexiv, dà adito a qualche dubbio sulla loro reale indicazione clinica.
Un altro esempio eclatante dell’eccessivo e inappropriato ricorso a prestazioni sanitarie è rappresentato dal numero di parti eseguiti con cesareo: il loro rapporto rispetto al numero totale di parti (quasi 40%) è in Italia tra i più alti nel mondoxv. E, come quasi sempre avviene, emergono evidenti disparità tra le regioni italiane, con molte di esse al di sotto del 30% mentre la Campania supera il 60%xvi; la percentuale di parti cesarei è inoltre molto più alta nel settore della sanità privata rispetto a quella pubblica.
Infine il consumo procapite di antibiotici è in Italia uno dei più alti tra i Paesi OCSE, anche in questo caso poco inferiore a quello della Greciaxvii, con evidenti disomogeneità tra le Regioni italianexviii.
Il progetto di Slow Medicine
Se la riduzione di prestazioni inappropriate, che rappresentano uno spreco di risorse e non offrono benefici tangibili ai pazienti ma piuttosto maggiori rischi, costituisce sempre un preciso imperativo etico, tanto più pressante appare in questo momento di crisi economica che in Italia mette a rischio la sostenibilità del servizio sanitario nazionale e la tutela della salute, e accentua in maniera allarmante le disuguaglianze tra i cittadini. Per evitare che vengano imposti alla spesa sanitaria iniqui tagli lineari è necessario che i professionisti e le società scientifiche si assumano la responsabilità di indicare quali risparmi si possono ottenere riducendo prestazioni inutili, ridondanti e inefficacixix xx.
Slow Medicine intende pertanto lanciare in Italia il progetto “FARE DI PIÙ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO”, nella convinzione che, come è avvenuto negli Stati Uniti, la spinta all’utilizzo appropriato e senza sprechi delle risorse disponibili non possa che partire da una precisa assunzione di responsabilità da parte dei professionisti della salute e in primo luogo da parte dei medici.

Già negli anni ’90 Sandro Spinsantixxi scriveva:
“La buona medicina ci appare il frutto di una contrattazione molteplice che deve tener conto di tre diversi parametri: l’indicazione clinica (il bene del paziente), le preferenze ed i valori soggettivi del paziente ed infine l’appropriatezza sociale. Alle due dimensioni finora considerate, oggi dobbiamo infatti aggiungerne una terza: l’appropriatezza sociale degli interventi sanitari, in una prospettiva di uso ottimale di risorse limitate, solidarietà con i più fragili ed equità. L’assistenza sanitaria, dovendo conciliare nelle sue scelte esigenze diverse e talvolta contrastanti, senza minimamente rinunciare alle esigenze della scienza, ci appare oggi più che mai un’arte. L’ideale medico dell’epoca postmoderna è una leadership morale”.
Il progetto che Slow Medicine prospetta segue quella che era stata la proposta di Howard Brody nel 2010 sul New Engl and Journal of Medicine e che ha preso forma negli USA con Choosing Wisely.
L’individuazione da parte dei professionisti di una lista di test diagnostici e trattamenti dei quali non è dimostrato il beneficio per molti pazienti e che a volte possono procurare più danno che beneficio, oltre a rappresentare un concreto passo verso un utilizzo più appropriato delle risorse, lancia all’opinione pubblica il forte messaggio che in sanità a volte è meglio fare meno, e che non sempre il medico che prescrive più esami e prestazioni è il medico migliore.
Nel dettaglio, ogni società scientifica/associazione di professionisti che aderisce al progetto individuerà una lista di cinque test diagnostici o trattamenti, ovviamente a partire da quelli già indicati negli USA, che in Italia:
            -  sono effettuati molto comunemente
            -  non apportano benefici significativi, secondo prove scientifiche di efficacia, alle principali categorie di pazienti ai quali vengono generalmente prescritti
            -  possono al contrario esporre i pazienti a rischi
            -  hanno un alto costo complessivo In accordo con Brody, Slow Medicine suggerisce ad ogni società scientifica/associazione di professionisti di costituire per questo obiettivo un gruppo di studio di alto livello che includa “professionisti con competenze specifiche in epidemiologia clinica, biostatistica, politica sanitaria e medicina basata sulle prove scientifiche (EBM)”. Una volta raggiunto l’accordo sulla lista di cinque test diagnostici o trattamenti, ogni società scientifica /associazione di professionisti metterà a punto un piano di implementazione e di formazione dei propri membri, per dissuaderli dall’utilizzo di quel test o trattamento per determinate categorie di pazienti. Slow Medicine favorirà gli scambi di informazioni tra le diverse società scientifiche/associazioni di professionisti e tra queste e associazioni di cittadini; inoltre provvederà a diffondere presso l’opinione pubblica sia il progetto statunitense e le pratiche già individuate da Choosing Wisely, con le relative indicazioni pratiche mirate ai cittadinixxii, sia puntuali informazioni sull’evoluzione del progetto in Italia e sulle società scientifiche e associazioni aderenti al progetto. Dato che la relazione tra medici e pazienti e il rapporto di fiducia che ne è alla base riveste un’importanza fondamentale ai fini di una maggiore appropriatezza, Slow Medicine supporterà i professionisti nel loro rapporto con il paziente con vari mezzi, compresi quelli audiovisivi come in USA. In conclusione il progetto “FARE DI PIÙ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO” rappresenta una scommessa, del tutto in linea con la dimostrazione di John Øvretveit di qualche anno fa secondo la quale nel sistema sanitario la qualità non aumenta i costi ma anzi li riducexxiii: la scommessa che attraverso il coinvolgimento dei professionisti sia possibile anche in Italia ridurre gli alti costi del servizio sanitario non attraverso tagli lineari, che ne mettono a serio rischio la sopravvivenza e accentuano ulteriormente le disuguaglianze tra i cittadini, ma intervenendo sulle cause più eclatanti di spreco nello stesso interesse dei pazienti.
Il progetto “FARE DI PIÙ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO” è stato lanciato da Slow Medicine nel dicembre 2012La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, FMOMCeO, ha ufficialmente aderito al progetto in data 20 febbraio 2013 ed ha concesso il proprio patrocinio all'iniziativa.


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