Cari Genitori
Sono in viaggio per Roma per partecipare alla
prima riunione di un movimento “FARE DI PU’ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO” di una
importante associazione (slow medicine. Sito www.slowmedicine.it che ha anche un
fruppo facebook).
In medicina si sta tagliando dappertutto e non
solo si stanno riducendo le prestazioni e si aumentano i ticket. Continuando di
questo passo la gente dovrà pagare un Sistema sanitario che darà sempre di meno
e poi si troverà a doversi pagare tante prestazioni o a pagare ticket alti.
Quotidianamente debbo mandare molti bambini in
privato non per scelta ma per obbligo (pensate solo alla odontoatria e alle
consulenze psicologiche: il pubblico è sottofinanziato, non si assume quando
uno va in pensione (almeno personale sanitario, amministrativi si tanto che
negli ospedali il numero di perosnale sanitario (medici, infermieri sta calando
e sta prevalendo personale amministrativo L ).
Qui sotto una spiegaziione. Sul sito www.choosingwisely.org trovate 138 esami o pratiche poco
utili/inutili se non dannose!!!!! Evitando esami inutili si riducono gli
sprechi. Il lavoro iniziato va fatto insieme:operatori sanitari e cittadini.
L’obiettivvo non è il risparmi ma evitare o almeno ridurre gli sprechi che in
sanità, se leggete sotto, impegano dal 20 al 40% delle risorse
Alberto Ferrando
Si moltiplicano ai più alti livelli anche in
Italia gli allarmi sulla possibile sostenibilità economica del Servizio Sanitario,
i cui costi appaiono in forte e continua crescita.
Per ridurre i costi della sanità senza limitarne
gli indiscussi benefici sulla salute delle persone, SLOW MEDICINE propone, in
primo luogo, di “utilizzare in modo appropriato e senza sprechi le risorse
disponibili”.
Da tempo è stato evidenziato che molti esami e
molti trattamenti chirurgici e farmacologici largamente diffusi non apportano
benefici per i pazienti e anzi rischiano di essere dannosi. Si tratta di esami
e trattamenti non supportati da prove di efficacia, che continuano ad essere
prescritti ed effettuati per molteplici ragioni: per abitudine, per soddisfare
pressanti richieste dei pazienti, per timore di sequele medico legali, perché
spiegare al paziente che non sono necessari richiede più tempo, per interessi
economici, perché nelle organizzazioni sanitarie viene premiata la quantità
delle prestazioni più della loro qualità e appropriatezza, per dimostrare al
paziente di avere una vasta cultura scientifica o per applicare in modo acritico
il concetto del “fare tutto il possibile”.
Questi esami e trattamenti rappresentano un vero
e proprio spreco di risorse, e spesso un danno per chi li fa (si pensi alle
dosi di raggi ).
Per ridurli è necessario agire in più direzioni:
ci vuole in primo luogo una nuova consapevolezza e un’assunzione di
responsabilità da parte dei medici e dei cittadini/famiglie/pazienti. I
primi sottoposti a forti pressioni da
parte di aziende di prodotti farmaceutici, di presidi e di servizi e
condizionati dalla concorrenza di colleghi così scrupolosi da prescrivere tanti
esami (attenti ai “boutique doctor”, dall’informazione distorta fornita da
corsi, seminari, congressi organizzati con lo scopo di enfatizzare l’efficacia
di nuove terapie e strumenti diagnostici, e anche dagli stessi pazienti che
traggono informazioni da riviste divulgative o da siti internet sostenuti dalle
industrie.
Occorre che i cittadini si rendano conto che per
la loro salute non sempre “fare di più significa fare meglio” e che non sempre
il medico che prescrive più esami e prestazioni è il medico migliore;
l’informazione a tutti i livelli dovrebbe essere più sobria, meno
sensazionalistica e libera da conflitti di interesse; nelle organizzazioni
sanitarie dovrebbe essere premiata la qualità e appropriatezza delle
prestazioni più della loro quantità.
Per cominciare ad attivarsi in questa direzione
Slow Medicine lancia il progetto “FARE DI PIÙ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO”, molto
simile a quello già in atto negli Stati Uniti con il nome di “CHOOSING WISELY” http://choosingwisely.org/,
promosso da nove società scientifiche USA e da un’associazione di consumatori.
La storia di CHOOSING WISELY
L`OMS stima che una percentuale della spesa
sanitaria compresa tra il 20% e il 40% rappresenti uno spreco causato da un
utilizzo inefficiente delle risorse (WHO 2010).
Negli USA si valuta che
l’ammontare delle prestazioni che non apportano nessun beneficio ai pazienti e
di conseguenza rappresentano uno spreco corrisponda ad almeno il 30% della
spesa sanitariai
ii iii
Gli stessi studi sottolineano come, per limitare
esami e trattamenti non necessari, che non solo fanno crescere oltre misura i
costi ma possono anche danneggiare i pazienti, sia fondamentale il ruolo dei
medici, dalle cui decisioni si stima dipenda circa l’80% della spesa sanitaria.
Già nel 2002 era stato lanciata, da parte della
Fondazione ABIM (American Board of Internal Medicine Foundation), della
Fondazione dell’ACP (American College of Physicians) e dalla Federazione
Europea di Medicina Interna, la “Carta della Professionalità Medica per il
nuovo millennio” iv: la
Carta ha come suoi principi fondamentali il primato del benessere del paziente,
la sua autonomia e la giustizia sociale. In particolare la Carta sottolinea
l’impegno ad una equa distribuzione di risorse limitate e chiama in causa i
medici perché si assumano la responsabilità dell’allocazione appropriata delle
risorse e dell’evitare scrupolosamente test e procedure superflue, dato che
“fornire servizi non necessari non solo espone i pazienti a rischi e costi
evitabili ma anche riduce le risorse disponibili per gli altri” .
Nel 2010 Howard Brodyv,
sottolineando la responsabilità etica di tutti i medici nei confronti della
sostenibilità economica del sistema sanitario, lanciava la proposta che ogni
società scientifica specialistica creasse “the Top Five List”, una lista di
cinque test diagnostici o trattamenti che fossero prescritti molto comunemente
dai membri di quella società specialistica, fossero tra i più costosi,
esponessero i pazienti a rischi e che, secondo prove scientifiche di efficacia,
non apportassero benefici significativi alle principali categorie di pazienti
ai quali vengono comunemente prescritti.
La “Top Five List” sarebbe stata una
raccomandazione su come, all’interno di quella specialità, si sarebbe potuto
ottenere il massimo risparmio in termini di costi senza privare nessun paziente
di benefici medici significativi.
Brody riportava come esempi di pratiche da
ridurre la chirurgia artroscopica per l’osteoartrosi del ginocchio e molte modalità
di utilizzo della tomografia computerizzata che, oltre a far crescere i costi,
espongono i pazienti ai rischi delle radiazioni.
Sempre secondo Brody, una lista di cinque
pratiche ad alto rischio di inappropriatezza aveva il vantaggio di lanciare all’opinione
pubblica il messaggio che non si trattava di un “razionamento” dell’assistenza
sanitaria per tagliare indiscriminatamente i costi ma che si stava intervenendo
sulle cause più eclatanti di spreco nell’interesse dei pazienti. Per la
definizione della “Top Five List” ogni società scientifica specialistica
avrebbe dovuto costituire prima possibile un gruppo di studio di alto livello,
che includesse professionisti con competenze specifiche in epidemiologia
clinica, biostatistica, politica sanitaria e medicina basata sulle prove
scientifiche (EBM).
Una volta raggiunto l’accordo sulla “Top Five
List”, ogni società specialistica avrebbe dovuto stendere un piano di
implementazione e di formazione dei propri membri, per dissuaderli
dall’utilizzo di quel test o trattamento per determinate categorie di pazienti.
Organizzazioni “ombrello“ come l’American Medical Association (AMA) avrebbero
potuto esercitare una forte pressione sulle società specialistiche, in
particolare su quelle più restie ad attivarsi.
Sempre nel 2010 Grady e Redbergvi, nel
presentare la serie di articoli “Less is more” pubblicati negli Archives of
Internal Medicine, insistevano sulla necessità di confutare il mito che “se un
trattamento è buono, fare di più è sempre meglio”.
Mettendo in pratica il suggerimento di Brody
un’associazione medica USA, la NPA (National Physician Alliance) vii,
lanciava un progetto per individuare una lista delle 5 principali attività in
medicina di famiglia, medicina interna e pediatria, nelle quali cambiamenti nella
pratica potessero assicurare un uso più appropriato di risorse limitate e
migliore qualità delle cure: venivano costituite tre commissioni le quali
individuavano complessivamente 12 attività, visto che per tre di esse le scelte
di medicina di famiglia e medicina interna si sovrapponevano.
Dato che era opinione comune dei medici che i
pazienti si aspettassero da loro la prescrizione di quelle pratiche, si
stabiliva di produrre dei video di formazione per supportare i medici nella
comunicazione ai pazienti della loro decisione. Ulteriori video sarebbero stati
prodotti per i pazienti per spiegare loro il razionale della raccomandazione, e
cioè che i rischi superavano i benefici. L’effettiva implementazione della “Top
Five List” avrebbe comunque dovuto rispettare i valori e le preferenze del
paziente, oltre alla correttezza clinica e all’uso appropriato di risorse
limitate.
La lista delle 12 pratiche veniva pubblicata
nell’agosto 2011: tra queste, citiamo le indagini radiologiche per la lombalgia
in assenza di segni neurologici e altre patologie, la densitometria ossea per
le donne di età inferiore a 65 anni senza fattori di rischio, la prescrizione
di antibiotici per la sinusite, l’effettuazione annuale di ECG o di esami di
laboratorio in assenza di sintomi.
Una successiva analisi economica stimava che, se
le pratiche contenute nella lista delle Top Five individuata dalla NPA fossero
state eliminate, il risparmio sarebbe consistito in almeno 5 miliardi di $
all’annoviii.
La fondazione statunitense ABIM (American Board
of Internal Medicine) basandosi sugli ideali della Carta della Professionalità
Medica, sulla sfida di Brody, sulla serie di articoli Less is more e infine sul
lavoro della NPA, ha successivamente lanciato l’iniziativa CHOOSING WISELYix con
la collaborazione di Consumer Reports, organizzazione non profit e indipendente
di consumatori.
Nove società scientifiche specialistichex hanno
aderito fin dall’inizio al progetto e individuato ciascuna una lista di 5 test,
trattamenti o servizi che fossero comunemente utilizzati nella propria
specialità e il cui impiego avrebbe dovuto essere messo in discussione da
pazienti e clinici: in tutto sono state individuate 45 pratiche
(test/trattamenti) ad alto rischio di inappropriatezza.
Queste liste sono state rese pubbliche nel corso
di un evento nazionale a Washington il 4 aprile 2012.
Pochi giorni dopo, l’8 aprile 2012, l’editoriale
del New York Times “Do you need that test?” riportava testualmente: “Se i costi
legati all’assistenza sanitaria devono essere riportati sotto controllo, i
medici della Nazione dovranno svolgere un ruolo trainante nell’eliminare i
trattamenti non necessari. Secondo varie stime, centinaia di miliardi di
dollari sono sprecati ogni anno in questo modo. E’ dunque molto incoraggiante
che nove maggiori gruppi professionali abbiano identificato 45 test e procedure
(5 per ogni specialità) che sono usate comunemente ma dei quali non è
dimostrato il beneficio per molti pazienti e che a volte possono procurare più
danno che beneficio.”
Le nove società scientifiche aderenti fin
dall’inizio all’iniziativa Choosing Wisely, che rappresentano quasi 375.000
medici, sono:
-
American Academy of Allergy, Asthma & Immunology;
-
American Academy of Family Physicians;
-
American College of Cardiology;
-
American College of Physicians;
-
American College of Radiology;
-
American Gastroenterological Association;
-
American Society of Clinical Oncology;
-
American Society of Nephrology;
-
American Society of Nuclear Cardiology.
In più altre società,
organizzazioni di consumatori e organizzazioni mediche hanno successivamente
chiesto di poter partecipare all’iniziativa, coinvolgendo medici e pazienti
nell’individuazione di ulteriori test e procedure il cui utilizzo dovrebbe
essere limitato.
Tramite Consumer Reports vengono messe in atto campagne di
comunicazione che coinvolgono anche i cittadini e le loro associazioni.
E'
stata pubblicata, nell’ottobre 2012, dagli Annals of Internal Medicinexi una
lista di 16 test radiologici tratta dai 45 test e trattamenti ad alto rischio
di inappropriatezza individuati dalle società scientifiche nell’ambito
dell’iniziativa
L’inappropriatezza in Italia
La stima dell’OMS, secondo la quale una
percentuale della spesa sanitaria compresa tra il 20% e il 40% rappresenterebbe
uno spreco causato da un utilizzo inefficiente delle risorse (WHO 2010), appare
molto verosimile anche per l’Italia.
In molti settori è possibile evidenziare
un sovra utilizzo di risorse, che emerge anche dal confronto dell’Italia con
gli altri paesi sviluppati dell’area OCSE: si citano di seguito alcuni esempi,
non certamente esaustivi.
Uno di questi settori, citato anche dalla
sintetica relazione OCSE 2011 sul nostro paese, è rappresentato dalle
tecnologie medicali, ad esempio in radiologia. Il numero di apparecchiature di
RMN (Risonanza Magnetica Nucleare) e TAC (Tomografia Assiale Computerizzata),
aumentato negli ultimi anni in tutti i Paesi sviluppati, nel nostro presenta
nel 2010 un rapporto rispetto al numero di abitanti tra i più altixii:
22,4 RMN e 31,6 TAC per milione di abitanti, entrambi molto al di sopra della
media OCSE (rispettivamente 12,5 e 22,6), vicini ai limiti superiori
rappresentati da USA e Grecia. E anche le stime sul numero di esami effettuati
ci pone ai primi posti tra i paesi OCSE.
Gli stessi radiologi, anche nella consapevolezza
dei danni conseguenti ad un’eccessiva esposizione alle radiazioni ionizzanti,
si stanno interrogando sull’appropriatezza degli esami radiologici che
eseguono: sono davvero tutti necessari?
Un recente studio eseguito da alcuni di
essixiii in
Italia su prestazioni radiologiche ambulatoriali ha dimostrato l’appropriatezza
solamente del 56% di queste. Questo vuol dire che il 44% delle prestazioni
radiologiche ambulatoriali prese in esame poteva essere evitato senza recare
alcun danno al paziente.
L’utilizzo molto più alto in Italia rispetto agli
altri Paesi di tecnologie complesse in cardiologia, come gli impianti di
pace-maker cardiaci con funzione resincronizzante e di defibrillatori per
migliorare la funzione cardiaca e risolvere aritmie malignexiv, dà
adito a qualche dubbio sulla loro reale indicazione clinica.
Un altro esempio eclatante dell’eccessivo e
inappropriato ricorso a prestazioni sanitarie è rappresentato dal numero di
parti eseguiti con cesareo: il loro rapporto rispetto al numero totale di parti
(quasi 40%) è in Italia tra i più alti nel mondoxv. E, come quasi sempre
avviene, emergono evidenti disparità tra le regioni italiane, con molte di esse
al di sotto del 30% mentre la Campania supera il 60%xvi; la
percentuale di parti cesarei è inoltre molto più alta nel settore della sanità
privata rispetto a quella pubblica.
Infine il consumo procapite di antibiotici è in
Italia uno dei più alti tra i Paesi OCSE, anche in questo caso poco inferiore a
quello della Greciaxvii, con
evidenti disomogeneità tra le Regioni italianexviii.
Il progetto di Slow Medicine
Se la riduzione di prestazioni inappropriate, che
rappresentano uno spreco di risorse e non offrono benefici tangibili ai
pazienti ma piuttosto maggiori rischi, costituisce sempre un preciso imperativo
etico, tanto più pressante appare in questo momento di crisi economica che in
Italia mette a rischio la sostenibilità del servizio sanitario nazionale e la
tutela della salute, e accentua in maniera allarmante le disuguaglianze tra i
cittadini. Per evitare che vengano imposti alla spesa sanitaria iniqui tagli
lineari è necessario che i professionisti e le società scientifiche si assumano
la responsabilità di indicare quali risparmi si possono ottenere riducendo
prestazioni inutili, ridondanti e inefficacixix xx.
Slow Medicine intende pertanto lanciare in Italia
il progetto “FARE DI PIÙ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO”, nella convinzione che,
come è avvenuto negli Stati Uniti, la spinta all’utilizzo appropriato e senza
sprechi delle risorse disponibili non possa che partire da una precisa
assunzione di responsabilità da parte dei professionisti della salute e in
primo luogo da parte dei medici.
Già negli anni ’90 Sandro Spinsantixxi scriveva:
“La
buona medicina ci appare il frutto di una contrattazione molteplice che deve
tener conto di tre diversi parametri: l’indicazione clinica (il bene del
paziente), le preferenze ed i valori soggettivi del paziente ed infine
l’appropriatezza sociale. Alle due dimensioni finora considerate, oggi dobbiamo
infatti aggiungerne una terza: l’appropriatezza sociale degli interventi
sanitari, in una prospettiva di uso ottimale di risorse limitate, solidarietà
con i più fragili ed equità. L’assistenza sanitaria, dovendo conciliare nelle
sue scelte esigenze diverse e talvolta contrastanti, senza minimamente
rinunciare alle esigenze della scienza, ci appare oggi più che mai un’arte.
L’ideale medico dell’epoca postmoderna è una leadership morale”.
Il progetto che Slow Medicine prospetta segue
quella che era stata la proposta di Howard Brody nel 2010 sul New Engl and
Journal of Medicine e che ha preso forma negli USA con Choosing
Wisely.
L’individuazione da parte dei professionisti di una lista di test
diagnostici e trattamenti dei quali non è dimostrato il beneficio per molti
pazienti e che a volte possono procurare più danno che beneficio, oltre a
rappresentare un concreto passo verso un utilizzo più appropriato delle
risorse, lancia all’opinione pubblica il forte messaggio che in sanità a volte
è meglio fare meno, e che non sempre il medico che prescrive più esami e
prestazioni è il medico migliore.
Nel dettaglio, ogni società
scientifica/associazione di professionisti che aderisce al progetto individuerà
una lista di cinque test diagnostici o trattamenti, ovviamente a partire da
quelli già indicati negli USA, che in Italia:
-
sono effettuati molto comunemente
-
non apportano benefici significativi, secondo prove scientifiche di
efficacia, alle principali categorie di
pazienti ai quali vengono generalmente
prescritti
-
possono al contrario esporre i pazienti a rischi
-
hanno un alto costo complessivo
In accordo con Brody, Slow Medicine
suggerisce ad ogni società scientifica/associazione di professionisti di
costituire per questo obiettivo un gruppo di studio di alto livello che includa
“professionisti con competenze specifiche in epidemiologia clinica,
biostatistica, politica sanitaria e medicina basata sulle prove scientifiche
(EBM)”.
Una
volta raggiunto l’accordo sulla lista di cinque test diagnostici o trattamenti,
ogni società scientifica /associazione di professionisti metterà a punto un
piano di implementazione e di formazione dei propri membri, per dissuaderli
dall’utilizzo di quel test o trattamento per determinate categorie di pazienti.
Slow
Medicine favorirà gli scambi di informazioni tra le diverse società
scientifiche/associazioni di professionisti e tra queste e associazioni di
cittadini; inoltre provvederà a diffondere presso l’opinione pubblica sia il
progetto statunitense e le pratiche già individuate da Choosing Wisely, con le
relative indicazioni pratiche mirate ai cittadinixxii, sia puntuali informazioni
sull’evoluzione del progetto in Italia e sulle società scientifiche e
associazioni aderenti al progetto.
Dato che la relazione tra medici e
pazienti e il rapporto di fiducia che ne è alla base riveste un’importanza
fondamentale ai fini di una maggiore appropriatezza, Slow Medicine supporterà i
professionisti nel loro rapporto con il paziente con vari mezzi, compresi
quelli audiovisivi come in USA.
In conclusione il progetto “FARE DI PIÙ
NON SIGNIFICA FARE MEGLIO” rappresenta una scommessa, del tutto in linea con la
dimostrazione di John Øvretveit di qualche anno fa secondo la quale nel sistema
sanitario la qualità non aumenta i costi ma anzi li riducexxiii: la
scommessa che attraverso il coinvolgimento dei professionisti sia possibile
anche in Italia ridurre gli alti costi del servizio sanitario non attraverso
tagli lineari, che ne mettono a serio rischio la sopravvivenza e accentuano
ulteriormente le disuguaglianze tra i cittadini, ma intervenendo sulle cause
più eclatanti di spreco nello stesso interesse dei pazienti.
Il progetto “FARE DI PIÙ NON SIGNIFICA FARE
MEGLIO” è stato lanciato da Slow Medicine nel dicembre 2012La Federazione
Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, FMOMCeO, ha
ufficialmente aderito al progetto in data 20 febbraio 2013 ed ha concesso il
proprio patrocinio all'iniziativa.
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