OGGI DIRETTA DALLE 15 SULLA MIA PAGINA FACEBOOK: AGGIORNAMENTO E VOSTRE DOMANDE SOPRATTUTTO SULL'"HOME SCHOOLING"
Ricevo questo dall'amica e pedagogista Cinzia Leone:
"Trovare il giusto equilibrio tra le priorita’.
L’impegno scolastico dei bambini e dei ragazzi e’ importante che continui e puo’ essere di aiuto nella strutturazione della giornata ma senza stressarli. La priorita’ e’ ascoltarli per sapere come vivono questa situazione, stimolarli perche’ esprimano le loro emozioni e sostenerli nell’affrontare al meglio questo difficile periodo, perche’ e’ difficile per noi ma non dimentichiamoci che e’ difficile anche per loro, soprattutto per coloro che hanno meno strumenti per capire cosa sta succedendo.
Questo articolo e’ interessante.
UNA MAMMA MI SCRIVE: ".....Non per lamentarmi, io sono in casa da sola con i miei 4... 14, 10, 8, 6 anni. Arrivano messaggi a tutte le ore, compiti assegnati alla sera, piattaforme di lavoro diverse per ognuno, 200 fotocopie in una settimana....
Interessate la lettura di questo articolo che, per semplicità di lettura vi incollo:
Coronavirus, psicologa: studenti e famiglie già stressati come in guerra. Non vessateli con didattica a distanza
“Siamo come in guerra, siamo in pieno Ptsd, il disturbo post traumatico da stress, e noi cosa facciamo? Aggiungiamo nuovo stress con la didattica a distanza? La scuola si è precipitata con una serie di interventi validi che bisogna seguire per non abbandonare i ragazzi. Ma non per vessarli come sta avvenendo”.
Un’insegnante e psicologa di Civitavecchia interviene in maniera decisa sulla didattica a distanza che potrebbe aggiungere secondo lei ulteriore stress allo stress post traumatico che aleggia da settimane nelle case delle famiglie. E si rivolge ai propri colleghi con una lettera postata su Facebook che ormai ha fatto il giro d’Italia. “Sono tante le mamme e anche e le nonne che mi stanno contattando per lamentare un eccessivo carico didattico che arriva a casa con la didattica online”, ci racconta oggi Cinzia De Angelis, psicologa psicoterapeuta e docente di Scienze umane (psicologia, sociologia e pedagogia) presso il Liceo Guglielmotti di Civitavecchia. Che aggiunge: “Le unità didattiche si possono riprendere, ciò che non si può riprendere è la rielaborazione del presente, il sostegno del presente. C’è bisogno di sostegno educativo più che di istruzione”. E invece? E invece, prosegue, “i ragazzi ricevono continuamente messaggi via Whatsapp dagli insegnanti. Sono state attivate le piattaforme, ma nella libertà di insegnamento usano anche questi mezzi. Gli alunni vengono stressati in continuazione. Devono scaricare materiali, stampare e non tutti hanno la stampante, non hanno le cartucce, ora è pure difficoltoso uscire per comprarle. Ci sono famiglie con tre figli e un solo pc, una stampante è diventata un bene di lusso. E poi i genitori spesso devono a propria volta lavorare online da casa, con più figli che si devono collegare contemporaneamente, è un delirio. Non tutte le famiglie vivono in case con tante camere e più computer, tanti vivono in ambienti ristretti che ora si caricano di uno stress superiore. Per altri versi, ci sono genitori assenti perché lavorano e non possono assistere i bambini più piccoli chiamati alle lezioni a distanza”
Ma veniamo alla lettera. “Cari colleghi – vi si legge –vorrei esprimere alcune considerazioni del tutto personali rispetto a quello che stiamo creando con i ragazzi riguardo alla didattica a distanza in un momento dove le priorità sono altre. Li stiamo bombardando di informazioni, compiti, messaggi, materiali fino a sera tardi. Noi docenti, che consigliamo sempre di non stare tutto il giorno su un pc o un cellulare, li stiamo incatenando in una sorta di collegamento virtuale che non tutti sono in grado di capire e sostenere neanche noi docenti. Nella case c’è paura, isolamento sociale, ci sono serie difficoltà economiche e noi forse dovremmo, sicuramente assegnare i compiti e renderci disponibili, ma non sentirci bravi docenti se ci incolliamo o peggio facciamo incollare i nostri ragazzi virtualmente davanti ad un pc con la speranza di fornir loro abilità e competenze. La didattica a distanza non può, a mio avviso, sostituirsi alla relazione educativa che ritengo fondamentale in questa fascia d’età ed inoltre non può essere una forzatura educativo-didattica in un momento dove i bisogni primari e di sicurezza sono destabilizzati. Essere docenti in questo momento storico ritengo sia altro, stiamo vivendo una catastrofe peggio della guerra perché almeno dalle bombe in qualche modo ci potremmo difendere, siamo in pieno PTSD, disturbo post traumatico da stress, e noi cosa facciamo? Ci accaniamo sulla didattica a distanza, le piattaforme e le videolezioni. Così da una parte abbiamo il coronavirus, dall’altra lo stress che stiamo generando nelle famiglie riguardo una modalità di fare scuola a cui nessuno è abituato. Mi dissocio completamente dalle metodiche in alcuni casi ‘vessatorie’ che stiamo usando. Semplifichiamo la didattica e curiamo il rapporto con i ragazzi sosteniamoli in uno dei momenti più difficili della storia contemporanea. Ci sono ragazzi che hanno tremendamente paura, sono smarriti. Alcuni nostri alunni possono avere i genitori che lavorano interrottamente nella sanità o che non lavorano più, con gravissime conseguenze economiche. Vi ricordo che abbiamo riconosciuto i Bes, i Bisogni Educativi Speciali, per molto meno, quindi guidiamoli e facciamogli sentire che la scuola c’e’ ma con la consapevolezza che ognuno di noi nel suo cuore sta cercando di superare la pandemia e le menti hanno bisogno di organizzarsi per gestire la paura e l’angoscia. Un caro saluto a tutti cari colleghi con l’augurio di rivederci presto a scuola con i nostri alunni e le piccole cose di tutti i giorni”. Abbiamo quindi contattato la professoressa, per capire di più.
Professoressa Cinzia De Angelis, la didattica a distanza sta coinvolgendo l’attività quotidiana di quasi nove milioni di alunni e delle loro famiglie, dopo che le lezioni normali sono state sospese per facilitare l’azione traumatica di distanziamento tra le persone. Lei pensa che si possano creare dei traumi ulteriori proprio con l’attività didattica a distanza?
“La scuola si è precipitata con una serie di interventi validi che bisogna seguire per non abbandonare i ragazzi. Ma non per vessarli come sta avvenendo”.
Sta davvero avvenendo questo, secondo lei?
“I ragazzi ricevono continuamente messaggi via Whatsapp dagli insegnanti. Sono state attivate le piattaforme, ma nella libertà di insegnamento usano anche questi mezzi. Gli alunni vengono stressati in continuazione. Devono scaricare materiali, stampare e non tutti hanno la stampante, non hanno le cartucce, ora è pure difficoltoso uscire per comprarle. Ci sono famiglie con tre figli e un solo pc, una stampante è diventata un bene di lusso. E poi i genitori spesso devono a propria volta lavorare online da casa, con più figli che si devono collegare contemporaneamente, è un delirio. Non tutte le famiglie vivono in case con tante camere e più computer, tanti vivono in ambienti ristretti che ora si caricano di uno stress superiore. Per altri versi, ci sono genitori assenti perché lavorano e non possono assistere i bambini più piccoli chiamati alle lezioni a distanza”
E poi c’è il dolore
“È vero. Tanti alunni in tutta Italia hanno i genitori o i nonni o persone care in ospedale. Se lo immagina? E si pensa che questo non abbia ripercussioni sulla situazione di apprendimento e di motivazione allo studio? Il ruolo della scuola in questo momento non è quello di puntare sul nozionismo e sui compiti da svolgere, accompagnato dall’ansia tipica dei docenti di finire il programma e di valutare. Tutto ciò si vive già nella quotidianità. Ora il tutto si aggrava da questa sorta di delirio per cui bisogna interrogare, svolgere verifiche”.
Siamo in una situazione di emergenza, ma qualcosa si deve fare
“Certo. E si sta facendo davvero tanto. Ma non si possono obbligare gli studenti alla connessione. È una situazione di emergenza ma non è come fare didattica a scuola. I nostri istituti non nascono per fare didattica a distanza e poi ci sono fasi di età per cui la relazione educativa è fondamentale”.
Si spieghi meglio
“Essere docenti significa essere prevalentemente educatori e formatori. L’istruzione è solo uno degli aspetti del processo pedagogico. In questa fase ritengo che il ruolo del docente sia prevalentemente educativo e di sostegno. Dobbiamo privilegiare l’aspetto educativo, il sostegno emotivo, la relazione empatica rispetto a quello che sta avvenendo in queste ore nelle case delle famiglie. Non dobbiamo entrare forzatamente imponendo attività didattiche che non tutti sono in grado di gestire per i motivi che ho già descritto: ambienti piccoli e altro. C’è una guerra e noi stiamo lì a verificare se hanno studiato, se sono presenti, se hanno consegnato le verifiche. E le segnalo che in un istituto di Civitavecchia un ragazzo ha ricevuto l’altro giorno alle 17,30 un messaggio da una docente che lo sollecitava allo studio. Ma i ragazzi hanno il diritto alla disconnessione, hanno il diritto di dormire di pomeriggio, il diritto di avere paura perché magari hanno un parente a Bergamo…”.
Che cosa bisogna fare, secondo lei?
“Bisogna stare vicino ai ragazzi, naturalmente. Ma consideriamo che dopotutto stanno perdendo solo due mesi e mezzo di scuola, se togliamo le vacanze di Pasqua. Bisogna inserire quel che sta succedendo in una globalità, non in un dettaglio, considerando il bollettino di guerra constante che arriva dalla televisione. Bisogna comprendere le emozioni, le paure, le angosce, anche quelle dei docenti. Bisogna puntare sulla relazione educativa”.
Guardi che ci sono genitori che chiedono di più. Più didattica a distanza, altro che di meno.
“E’ la scuola che deve dare le regole, non i genitori. Lo sanno gli insegnanti, non certo i genitori ciò che è giusto fare nelle scuole della prima infanzia, o della seconda infanzia o in quella degli adolescenti. Altrimenti sarebbe come se io andassi dal dottore e dicessi, io a lui, che cosa mi dovrebbe prescrivere. Ci sono famiglie che sono in ansia perché temono che i figli possano perdere l’anno o che i voti su verifiche o interrogazioni online possano abbassare la loro media. Sono traumi ulteriori rispetto a quelli indotti dalla situazione di emergenza in atto. I docenti dovrebbero favorire rapporti tranquilli”.
Lei ha parlato di Ptsd. Che cos’è di preciso?
“Il Ptsd è un insieme di sintomi che le persone sperimentano nel momento in cui c’è una situazione traumatica. Significa che da quel momento la persona non vive più come prima. Guardi noi adulti. Non vede? Non abbiamo più rapporti sociali, ascoltiamo i continui bollettini da guerra, ci laviamo le mani in continuazione, è un trauma collettivo. Chi ha un’attività economica, da un momento all’altro non ha più entrate economiche. Pensiamo agli amori, agli affetti, alle amicizie, alla paura per il pericolo per la vita, si tratta della morte dei connazionali. Quello che avviene, avviene in italia, è vicino a ognuno di noi”.
Sta dicendo che in questa fase bisognerebbe preoccuparsi dei bisogni primordiali invece che della la didattica, dell’istruzione, della formazione?
“Maslow, che ha ideato la teoria dei bisogni, ha spiegato che esiste una piramide. Alla base della piramide ci sono i bisogni primari, che sono quelli di mangiare, di dormire, di bere. Poi, sempre alla base della piramide, ci sono i bisogni di sicurezza. Questa sicurezza non c’è più: il sistema sanitario sta crollando, è in forte pressione in queste ore, si fanno i conti sull’età, la gente sta morendo negli ospedali. Poi ci sono i bisogni sociali, che si collocano al terzo posto: e sono completamente annullati. Poi abbiamo la stima – e qui sorvoliamo – e, all’ultimo posto, l’autorealizzazione attraverso il lavoro, lo studio e tutto il resto. Alla luce di questa piramide, Maslow dice che se non sono garantiti e soddisfatti i bisogni precedenti, quelli collocati alla base della piramide, viene a mancare la motivazione a raggiungere gli altri: se io devo lottare, se le mie forze mentali le sto utilizzando per i bisogni primari, quanta energia mi resta per poter voler raggiungere l’ultimo tassello, quello dell’autorealizzazione?
Ma lo studio e l’impegno scolastico non potrebbe essere paradossalmente un utile diversivo?
“Sì, se usato in maniera rispettosa della vita familiare di questo momento, se non c’è un carico. Bisogna mettersi nei panni dei ragazzi e delle loro famiglie, perché noi non sappiamo cosa vivono i ragazzi nelle case. Quando nelle situazioni scolastiche normali abbiamo davanti 25 ragazzi sappiamo in genere se hanno problemi e sappiamo come intervenire, magari con gli accorgimenti previsti per i Bes. Possiamo non accorgercene per i primi giorni, poi però ce ne accorgiamo e interveniamo. In questo momento noi, con una distanza reciproca come quella che ci è stata imposta, privi di relazioni, come facciamo a capire che cosa stanno vivendo i nostri alunni, lavorando davanti a uno schermo di computer? Io penso che davanti a ogni fascia di età ci siano esigenze diverse: le lezioni telematiche vanno bene per gli universitari. Ovvio che ora c’è una emergenza e bisogna fare il possibile ma il docente deve usare il buon senso. Attiviamo i Bes per molto meno, e invece ora gli studenti devono fare tutto il programma? Dobbiamo sostenere questa generazione. Se diciamo ah quanto siamo stati bravi, tutto diventa relativo. Le unità didattiche si possono riprendere, ciò che non si può riprendere è la rielaborazione del presente, il sostegno del presente. C’è bisogno di sostegno educativo più che di istruzione”.
Anche i docenti si dicono stressati da questa situazione e dalla didattica a distanza alla quale solo in pochi istituti si era stati adeguatamente formati
“Lo stress è elevatissimo. Per fare tutto al meglio stanno per ore davanti al pc per implementare le piattaforme, poi magari il registro si blocca”.
Cosa può comportare, questo stress?
“E’ uno stress, sia visivo sia di risorse richiamate per attivare una procedura di insegnamento per la quale non si è abituati o formati. Non tutti i docenti sanno gestire in maniera fluida la didattica a distanza”
Professoressa De Angelis, lei ha scritto una lettera ai suoi alunni e alcuni le hanno risposto dicendosi ora sollevati dalla paura che stanno vivendo per sé e per i propri cari, molti dei quali lavorano nella sanità o più semplicemente nei supermercati. Che cos’ha scritto in questa lettera?
“Ho scritto questo: Cari ragazzi in questo momento al di là della didattica, delle piattaforme, dei compiti da assegnare e dei voti, certamente tutto importante ma di certo non primario rispetto alla situazione psicologica ed emotiva che ognuno di noi nel suo cuore sta attraversando, vorrei condividere con voi alcune mie riflessioni. Approfittiamo di questa esperienza per guardarci dentro, trovare nuove priorità, fare scelte più consapevoli nei piccoli gesti della vita, ringraziare il momento presente e sviluppare sempre di più la gratitudine per ogni piccola cosa che ci circonda. Prendiamo del tempo lento per noi, per stare con i nostri cari, per letture ispiranti, approfittiamo per fare quello che non abbiamo mai tempo di fare, mangiamo sano e coltiviamo pensieri positivi mantenendo la mente concentrata sull’assoluta certezza che tutto passerà. Siete una classe meravigliosa e che stimo molto. Non preoccupatevi delle valutazioni abbiamo due voti e vi conosco da due anni quindi so quello che valete. Vi mando un luminoso cerchio avvolgente di protezione. Che tutto sia un’esperienza di trasformazione evolutiva su questa terra. Siamo vicini, alunni belli, ora come non mai apprezzo internet che ci connette, abbatte le barriere spazio-temporali e permette di aiutarci, sostenerci e confortarci in ogni momento. Sarà immensamente bello rivederci e abbracciarci a scuola dopo questa grande sfida per l’umanità e la nostra cara Italia. Vi manderò i compiti e gli argomenti da studiare sul registro elettronico, ci sentiremo ogni giorno sulle chat di gruppo restando a disposizione per qualsiasi dubbio o difficoltà. Con affetto e stima per ognuno di voi la vostra prof”
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