STORIA DI GIULIA, CIRO E ANDREA
Qui http://ferrandoalberto.blogspot.it/2014/02/lettere-di-mamme-picchiate-violenza-di.html ho pubblicato lettere di mamme (e quindi di bambini) sottoposti a violenza da parte del marito.
Ci racconterà Giulia,
attraverso la sua esperienza, come sia necessario farsi aiutare, denunciando
molestie e maltrattamenti psicologici e fisici (ma anche se solo psicologici,
fanno danni importantissimi).
Denunciare a strutture
finalizzate alla protezione della famiglia, nella sua parte più debole. Ed alla
cura del maltrattante che, a sua volta, ha una fragilità terribile, pur nella
brutalità psicofisica manifestata, nel tentativo di superarla...
Giulia non è il vero nome
dell'amica mia e del dottor Ferrando. La nostra amica è ultrasessantenne e suo
figlio si incammina verso i quarant'anni. Ma le sofferenze vissute dal figlio,
che chiameremo Ciro, lo hanno portato, a partire dall'adolescenza, a
manifestare comportamenti fortemente disturbati, simili a quelli paterni, in
alternanza a crisi in cui Ciro si sentiva grandemente in colpa, ed entrava in
depressione, anche con fantasie suicide qualche volta. E, successivamente, non
riusciva a costruire legami affettivi con le fidanzate che non avessero
caratteristiche distorte e malate. Ma era soprattutto su Giulia che i
comportamenti aggressivi di Ciro si riversavano.
Ed alla fine, una grave
violenza fisica sul secondo compagno di lei, e nel modo più brutale e
pericoloso.
Giulia era molto giovane, e
Ciro aveva meno di 2 anni, quando ha capito di doversi separare dal marito (lo
chiameremo Andrea), perché stava vivendo nella paura per se', ma soprattutto
per il suo bimbo.
Il bimbo era innamorato del
suo papà e Giulia aveva creduto di poter proteggere Ciro semplicemente separandosi da Andrea.
Ma così non è avvenuto...
nonostante la separazione, quel che Ciro ha vissuto, prima e dopo la
separazione dei genitori, lo ha segnato in modo grave.
Se qualcuno fosse riuscito a
far capire ad Andrea che il suo comportamento era malato, e che lui stesso
aveva bisogno di cura, non solo per il bene di suo figlio, ma anche per poter
essere lui stesso una persona felice di se', sarebbe stato molto utile.
Ma allora non si pensava a
curare il maltrattante, ammesso che si fosse riusciti a dimostrare il
maltrattamento. E al massimo si concepiva una pena.
Mi interrompo, sarà Giulia
stessa a continuare. Lo farà a frammenti: nonostante da 24 anni sia sostenuta
da un professionista per reggere nel modo più utile possibile il rapporto con Ciro,
scrivere di questo argomento è per lei un lavoro che le fa battere forte il
cuore.
Ecco il racconto di Giulia:
La mia storia con Andrea, pur con
un'interruzione per me dolorosa (ero molto innamorata) era nata sui banchi di
scuola. Poi il matrimonio... nonostante avessi avuto la netta percezione,
andando alla cerimonia, di infilarmi in grossi guai. Ma era stata più forte la
malia dell'innamoramento.
Già da ragazzina ero abituata a
considerare i suoi eccessi come espressione di una sofferenza (il suo rapporto
con il padre gli creava molti problemi). Povero Andrea, mi dicevo, ha bisogno
di amore, ha bisogno di essere capito.
Sin dai primi tempi della nostra
convivenza, Andrea aveva iniziato a tenermi sveglia la notte per descrivermi in
modo insistente ed estenuante i miei innumerevoli difetti, per i quali,
spiegava, si preoccupava, perché mettevano a rischio il nostro futuro. E non
smetteva di parlare dei miei innumerevoli difetti, impedendomi di dormire
sinché, esausta, crollavo, piangevo e ammettevo le mie presunte colpe. Il
giorno dopo ero uno straccio.
All'inizio del matrimonio gli
rispondevo cercando di capire, ma abbastanza presto compresi che aveva solo
bisogno di farmi star male. Ciononostante, continuavo a giustificarlo.
Faceva anche altri giochini per
farmi star male, come ad esempio ignorare totalmente la mia presenza per
giornate intere. Come fossi stata trasparente.
Oppure faceva assurde,
immotivate, scenate di gelosia, rompendo oggetti cui io tenevo.
Ma non le consideravo cose troppo
gravi: col tempo, e la pazienza amorevole, le sue sofferenze si sarebbero
lenite e tutto sarebbe stato superato.
Non volevo figli, però, sinché la
situazione non sarebbe cambiata. E per questo venivo molto criticata da lui e
dalla sua famiglia.
Poi, per errore (o forse no),
rimasi incinta ed ebbi Ciro.
E la situazione cambiò.
Di colpo lo vidi con lucidità
com'era. Colsi che avevo a che fare con una persona fortemente disturbata. Gli
proposi di affrontare il suo malessere perché ora avevamo un figlio, e responsabilità
importanti.
Ma la mia lucidità non gli
piaceva.
Cominciò con l'avere altre donne.
Però io ero distratta, avevo Ciro di cui occuparmi e non me ne accorsi neppure.
Me lo fece raccontare dal fratello, a cui risposi ridendo che non era possibile
che Andrea, geloso e possessivo com'era, potesse fare lui stesso ciò che
ossessivamente dichiarava così grave ed amorale. (Sembra incredibile, ma allora
la coerenza mi pareva indiscutibile!)
I suoi tentativi di umiliarmi si
fecero più frequenti. Le sue ossessive sceneggiate notturne più aggressive. Ma
gli tenevo testa molto più a lungo: non avevo tempo da perdere con
stupidaggini. E intanto continuavo a proporgli di risolvere i problemi o di
lasciarci. Ma ero molto provata.
Che la situazione virasse al
peggio, per Ciro e per me, lo capii una notte.
Si rientrava da una delle
interminabili serate del sabato, a cena a casa dei nonni paterni.
Il tinello, dopo la cena, si
trasformava in un fumoir insano. Il bimbo piccolo, due anni, sul tavolo come
giocattolo/trofeo <l'erede del nostro sangue>. Attorno quattro adulti a
fumare e parlare parlare parlare.
Era una sofferenza (non ho mai
fumato in vita mia), un gran mal di testa ed una gran rabbia feroce per
l'intollerabile mancanza di rispetto per un bimbo piccolo.
Ma le mie accese rimostranze per
i diritti calpestati di Ciro erano ininfluenti. Cinque persone, la famiglia, il
clan, erano solidali nell'irridere le mie argomentazioni: <sei la solita
integralista fuori dal mondo> .
Il ritorno a casa in auto fu con
me alla guida. Strana eccezione, perché Andrea era fanatico di auto e geloso
della sua (incredibilmente me ne viene in mente ora il motivo: la cosa era
funzionale ad un giochino cattivo).
<Ciro ha sonno, salgo con
lui> mi disse Andrea appena giunti nei pressi di casa.
Posteggiare la notte, in quella
zona centrale della grande metropoli del nord, non era facile. Occorreva girare
un po' a vuoto. Ed io cercai il posteggio da sola.
Ascensore. Settimo piano.
La porta dell'appartamento era
socchiusa. Dentro buio. Provai ad accendere la luce. Non si accendeva.
Silenzio. Paura. Provai a chiamare. Silenzio. Perché? Cos'era successo? Nessuna
luce si accendeva. Il cuore martellava. Girai tutte le stanze nel panico.
Di colpo si misero a gridare
entrambi, padre e figlio, emergendo da dietro il letto matrimoniale dietro cui
si erano acquattati.
E mio marito, ridendo, andò a
ricollegare il contatore della luce che aveva staccato.
Stavo male. Il cuore ancora
martellante.
Il bimbo che era riemerso da
dietro il letto, accanto al padre, e come lui si era messo ridere, appena vide
il mio viso, che evidentemente esprimeva lo stato sofferente, mi venne incontro
spaventato. Accarezzandomi, mi diceva <Mama? Mama?> con un tono amorevole e spaventato che non ho
mai dimenticato.
Mi riscossi subito per
tranquillizzarlo, ma non so quanto fu possibile celare il mio malessere.
Sin dai primi tempi, ogni volta
Andrea aveva fatto qualcosa di particolarmente pesante, facendomi soffrire,
dopo prometteva che avrebbe posto fine a questi comportamenti, mi diceva che
aveva capito cosa non andava e mi copriva di molteplici attenzioni ed espressioni
amorevoli, facendomi sentire davvero amata (ogni volta gli credevo, volevo
credergli) .
La cosa durava per un po'. Ma
poi, immancabilmente, si era d'accapo.
In quelle estenuanti notti in cui
mi teneva sveglia, avevo studiato i dettagli del manifesto a parete di fronte
al letto (rappresentava un bosco autunnale... quel guardarlo mi serviva ad
ancorarmi ad una bellezza consolante e focalizzare la mia attenzione fuori dal
mio malessere), e pensato che sembrava non esistesse un solo Andrea, ma due, con
tratti opposti di carattere ed opposta percezione del mio essere.
Quel continuo alternarsi di
messaggi contrastanti aveva contribuito a confondermi le idee.
“Ha bisogno di aiuto e amore, lui
non è davvero come appare quando sta male”, mi ero ripetuta più e più volte...
Dopo quello scherzo cattivo
fattomi coinvolgendo Ciro, sentii che non c'era più tempo.
Decisi di spiegargli che ora era
proprio necessario che risolvesse i suoi problemi. Perché avevamo un figlio, ma
anche perché mi stavo disamorando di lui... E da ragazzotta testarda e ingenua
(e priva di aiuto) gli confessai, molto incautamente, che stavo iniziando a
provare interesse per altri uomini.
Per Andrea quest'ultimo era un
grave delitto di lesa maestà, da punire con severità. Lo capii subito a spese
mie e del bimbo.
Ad ogni scenata violenta notturna
ero terrorizzata che Ciro si svegliasse, accorresse e vedesse la furia
spaventante di suo padre o si tagliasse i piedini su vetri rotti o venisse
ferito con altro... (ricordo che, pur
agnostica, cominciai a pensare che forse potevo fare un eccezione e credere
almeno nell'angelo custode dei bimbi)
Era iniziata anche la violenza
fisica.
Sempre con l'accortezza di
celarla sotto il manto perbenista. Tanto non avrei urlato, lo sapeva bene: non
avrei spaventato Ciro. E allora il braccio ritorto dietro la schiena sino a
togliermi completamente il respiro per il dolore. Oppure il colpo infertomi di
taglio violentemente sul seno facendo finta di gesticolare, mentre teneva in
braccio il bambino. Che tanto i lividi lì non li vede nessuno e Giulia non
urla, non vuole spaventare Ciro.
La certezza definitiva
dell'insostenibilità della nostra situazione mi si presentò alla mente dopo una
giornata trascorsa con Anna, mia suocera.
Sin dai primi tempi della mia
vita con Andrea, capii che Anna era vittima di Giuseppe, mio suocero . Una vittima
ad un livello molto subdolo e raffinato, difficile da identificare. Ma senza
scampo.
Giuseppe celava la sua violenza
psicologica (che però faceva danni anche fisici) nei confronti della moglie,
sotto una rappresentazione di se' come alto esempio di dedizione alla famiglia,
integrità, responsabilità, tatà tatà tatà...
Ma nel vivere i primi momenti
familiari condivisi, una volta, il suo controllo non era stato efficiente (o
forse, penso ora, voleva sondare le mie capacità di accettazione delle sue
modalità di rapportarsi alla moglie).
Quindi ero stata testimone di un
suo atto davvero cattivo nei confronti di Anna.
Mi ero indignata. Non potevo
crederci.
Avevo anche cercato di evitare a
mia suocera quella sofferenza (Giuseppe non l'aveva certo picchiata, per
carità, ma era riuscito ugualmente a farla soffrire per molte ore).
Lui era stato più forte di me,
naturalmente, e mi aveva ridotta all'impotenza.
Avevo visto un marito-padrone
inaccettabile. Una coercizione inaccettabile. Un'ideologia distorta di rapporto
di coppia. Non capivo (non ancora) che era un'ideologia familiare malata.
Avevo protestato con Giuseppe
(Andrea non era presente) e poi, molto intensamente, con Andrea appena lo avevo
rivisto... Andrea mi aveva dato ragione.
Il palcoscenico sulla loro vita
reale si era richiuso subito, ma ormai ero in grado di osservare Anna e capire
se era stata male.
Quando avevo potuto, in seguito,
avevo sempre cercato di star vicina ad Anna, farle almeno sentire amicizia ed
affetto.
Quel giorno ero andata ad aiutarla
a vuotare un armadio (era imminente un loro trasloco).
Da quell'armadio, assieme agli
oggetti, uscivano i racconti di frammenti della sua vita, della vita della
famiglia. I soprusi. Le cattiverie.
Capii che dovevo sottrarre Ciro e
me alla riproduzione di quello schema malato. Rapporti di potere intrafamiliari
molto simili a quelli in cui mio marito stava cercando di incastrarci per tutta
la vita. Ed anche in modo meno raffinato, più riconoscibile.
Stava a me muovermi.
Fu una riflessione, in un lungo
viaggio in tram (tempi lunghi di percorso nella grande città), che dissipò ogni
residuo di nebbia dalla mia mente: quel clima di sopraffazione sembrava passare
da padre in figlio. Dovevo proteggere Ciro.
Presi coscienza di colpo, e con
sgomento, del fatto che avevo paura di Andrea. E che non lo avevo ancora
lasciato per paura della sua violenta reazione. Che mi stavo celando la realtà.
Sentii molto chiaramente che non
avevo scelta: non era accettabile vivere con una persona di cui avevo paura.
E fui finalmente un po' più cauta
(o almeno credetti di esserlo).
Quella sera stessa spiegai ad
Andrea che avevo deciso di lasciarlo perché le “nostre liti” non facevano bene
al bambino.
Gli proposi una separazione
consensuale che ci permettesse di vivere in case separate ed essere genitori
civili, amici e responsabili. Ognuno con la sua vita, ma capaci di far sì che
Ciro non soffrisse ed avesse la presenza di entrambi, a turno, e qualche volta
civilmente insieme.
Andrea la prese bene. Accettò. Mi
disse che era consapevole che le cose avrebbero dovuto cambiare tra noi. <Siamo due genitori responsabili e
civili> fu il motto della serata e di
qualche giorno successivo...
Ma durò poco.
Qualche giorno dopo la mia
dichiarazione di volermi separare da lui, Andrea rientrò a casa a notte
inoltrata.
Già dormivo, sentii un tonfo. Mi
alzai. Era steso a terra, sembrava incosciente. Mi spaventai.
Lo chiamai. Lo toccai. Volevo
capire cosa gli accadesse.
Appena mi sentì vicina, si alzò
in piedi di scatto e, in silenzio, mi piombò addosso trascinandomi sotto di se'
nella sua caduta. Di nuovo apparentemente incosciente.
A gran fatica, perché Andrea mi
superava di 30 centimetri in altezza e 30 chili di peso, lentamente riuscii a
sfilarmi da sotto di lui. Mi rialzai.
Appena fui in piedi, Andrea mi
ricadde addosso e mi trovai a terra sotto di lui come prima. Sempre come fosse
un sonnambulo.
Paura. Anche che Ciro si
svegliasse e si spaventasse.
Ricominciai a sfilarmi da sotto e
quando ci riuscii cercai di raggiungere di corsa la porta di casa per chiedere
aiuto ai vicini. Ma Andrea fu più veloce. Con violenza mi ributtò dentro casa.
Richiuse e giù di nuovo a terra con me sotto.
Il giochino si ripeté non so
quante volte. Ogni volta cercavo di aggrapparmi a qualcosa, per poter suonare
un campanello, ma lui arrivava prima o riusciva a strattonarmi con forza. In
casa e a terra.
Poi ci riuscii. Andrea non ce la
fece a farmi mollare il pomello della porta di casa di un'anziana signora che,
forse insonne, aveva sentito (e visto qualcosa dallo spioncino?)... Sentimmo
girare le sue molte serrature.
Andrea scappò subito in casa.
Chiesi alla signora di chiamare la guardia medica, perché mio marito stava
molto male, aveva bisogno di assistenza immediata.
La signora eseguì e lasciò
socchiusa la sua porta nell'attesa. Non so più, se in seguito le chiesi cosa
avesse capito.
Rientrando vidi Andrea in bagno
con le dita in bocca: stava stimolandosi il vomito. Capii che aveva bevuto
dalla puzza (solo in quel momento la avvertivo?).
Si lavò, si cambiò e si mise a
letto: un malato per bene. Non facciamo brutte figure, per carità.
Mi stupii, Andrea non aveva mai
amato bere.
Quando arrivò la guardia medica
raccontai l'accaduto nei dettagli, mentre lo visitavano. Tutti i dettagli.
La dottoressa mi chiese alla
fine: “Ma lei, signora, non aveva mai visto un ubriaco prima?”, scrisse
qualcosa e se ne andò. Ero sbigottita. Mi sentii impotente. Priva di aiuto.
Ebbi più aiuto dalla vicina che
promise di rimanere in allerta per noi... lo disse davanti al “malato”, che
continuava la sua recita di perbenismo lucidandosi l'aureola che non doveva
macchiarsi.
Ma mi conveniva assecondarlo.
Così sarebbe stato calmo almeno per un poco.
La mattina dopo non andai al
lavoro. Appena Andrea uscì, chiesi agli amici aiuto per organizzare la mia fuga
nella mia città natale. Sarei andata a vivere dai miei genitori, in attesa di
trovare una sistemazione autonoma.
Facemmo i bagagli in poco tempo e
li spedimmo, erano molti. Presi il treno con Ciro.
Dall'altra città, più tranquilla,
finalmente raccontai (non lo avevo mai fatto).
E presi accordi con l'avvocato.
Che mi spiegò che stavo rischiando guai davvero grossi...
L'avvocato cui ero ricorsa per la
separazione mi aveva spiegato che la mia fuga a casa dei miei genitori poteva
mettermi nei pasticci: allora esisteva il reato di abbandono del tetto
coniugale.
Mi aveva chiarito che quel che
subivo non era dimostrabile: Andrea era un perbenista ed era stato molto
attento a celare la sua violenza su di me.
Mi disse inoltre che mi stavo
anche esponendo al rischio di farmi togliere Ciro con quella fuga...
L'avvocato era una signora che
faceva il suo lavoro in modo molto progressista, e deplorava l'inesistenza
della protezione contro il maltrattamento domestico. Ma la realtà era questa.
Si era tra la fine degli anni '70
e i primi '80. Non c'erano le strutture
che ci sono adesso, e nessuno pensava a proteggere curando anche il
maltrattante, al massimo si pensava ad una pena, a patto che si riuscissero a
dimostrare violenze fisiche consistenti.
Mi affrettai a tornare. Ma con me
venne una persona della mia famiglia, trasferendosi a casa nostra.
Fu un tempo molto lungo. In mezzo
ci fu la separazione in tribunale.
Andrea aveva subito tentato di
strattonare, e strapazzare quella persona. Ma a differenza di me lei non temeva
di spaventare nessuno con i suoi urli. Aveva una voce potente e molto acuta.
Bastò una sola volta. Andrea immediatamente staccò le sue mani da lei. Fu come
se avesse preso la scossa...
Fu lei a vincere. Rimase da noi
sino a quando Andrea, esasperato dalla sua presenza, se ne andò portandosi via
il suo cuscino, lasciandomi le chiavi, e giurandomi vendetta.
Quello fu l'inizio della grande
sofferenza di Ciro. Aveva tre anni ed era innamorato del suo papà. Attraverso
il bambino Andrea si prese la sua vendetta. Mai finita. Questo per me è il nodo
davvero più doloroso.
La prima vendetta messa in atto
da Andrea fu disattendere quanto il giudice aveva stabilito circa gli incontri
tra padre e figlio.
Nella mia ingenuità avevo pensato
che non sarebbe stato nemmeno necessario regolamentare: non avrei certo
ostacolato gli incontri... che avvenissero pure in qualsiasi momento... mi
pareva assurdo stabilire quante volte la settimana, o per quanto tempo e così
via... padre e figlio, a mio parere, si sarebbero visti ogni volta lo avessero
desiderato.
Il giudice fu irremovibile e
regolamentò.
Ed Andrea disattese.
Di colpo Ciro non vide più suo
padre per un tempo lunghissimo. Mentre prima era abituato a vederlo ogni
giorno.
Iniziò a soffrirne tremendamente:
lo amava moltissimo. Il suo sguardo cambiò, si fece molto triste. Persino dimagrì.
Sino a poco tempo prima, eravamo
stati complici, Andrea ed io, a non voler mostrare quel che accadeva tra noi a
nostro figlio... Andrea non voleva
perdere la sua immagine di papà buono, ed io non avevo mai urlato.
E Ciro non si era mai svegliato
durante le sceneggiate notturne: pareva avesse un sonno non disturbabile da
qualche rumore di cocci per rottura di oggetti, o tonfo per “cadute” di...
masse più o meno pesanti.
Anche se, in realtà, non mi è
possibile sapere cosa già avessero percepito le antenne sensibili del
piccolo...
Telefonai ad Andrea al lavoro (i
cellulari non esistevano ancora): era così tremendo veder piangere Ciro di
nostalgia.
Andrea mi rispose che era questo
che avevo provocato con il mio comportamento, che era colpa mia, che mi
arrangiassi...
Non ci potevo credere: Andrea era
persona ancor più preoccupante.
Provai a parlare con Anna, mia
suocera.
Ancor peggio: era furibonda con
me.
Mi accusò di essere una
traditrice, di aver scacciato suo figlio per poter accogliere chissà quale
amante. Di esser persona indegna... e così via.
Capii che le avevo fatto un torto
terribile (le avevo dimostrato che si poteva fuggire da quella folle galera da
lei accettata? Non so) e non avrei avuto aiuto.
Pensai che se Andrea voleva
vedermi soffrire negandosi a Ciro, la cosa migliore era non dirglielo più.
Distrarre il bambino nel modo più efficace possibile ed aspettare.
Tra mamme lavoratrici avevamo
costituito una rete di aiuto reciproco: quando una era impegnata oltre gli
orari di apertura dell'asilo, o doveva uscire la sera, la mamma libera da
impegni fuori casa, a turno, teneva i figli delle altre.
I bambini si divertivano a
continuare a giocare tra loro e stare con gli amichetti a cena, e poi a dormire
assieme. Noi mamme avevamo un po' di libertà.
E così intensificai la mia
presenza partecipativa in questa rete: a casa nostra o da altri, Ciro ebbe ben
poco tempo senza distrazione.
Poi si sa, i bimbi hanno grande
capacità di adattamento.
Il tempo passò, ed Andrea riprese
a farsi rivedere da Ciro con assiduità.
Ma cambiò strategia vendicativa.
Nei suoi incontri con il bambino,
iniziò a spiegargli che la mamma aveva scacciato il papà da casa, per questo
non si erano visti così a lungo..
Perché la mamma era cattiva.
Neppure aveva desiderato che nascesse: era nato perché il papà lo aveva voluto.
E mia suocera aiutava il figlio
in quest'impresa di demolizione della mia immagine.
Ciro tornava a casa
arrabbiatissimo con me e mi chiedeva perché avessi scacciato il suo povero
papà, perché non gli volessi bene... perché... perché... era disperato, deluso
da me, indignato che non gli fornissi giustificazioni comprensibili...
Gli rispondevo: <ma no... non
l'ho scacciato... Papà ed io ci siamo separati perché litigavamo>
Ma per il bambino non era una spiegazione
accettabile. Pensava che anche lui litigava spesso (e a volte faceva a cazzotti
anche) con gli amichetti, eppure stavano sempre insieme... contenti di stare
assieme... cosa diavolo gli stavo raccontando? Dicevo bugie.
Ecco... il guaio più grosso:
l'operazione capillare, sistematica ed insistente di costruzione per Ciro
dell'incertezza della realtà che Andrea e sua madre misero in atto (mio suocero
mai partecipò).
Operazione che iniziò in quel
momento e mai finì. Fu il danno che, associato al dolore di non poter vedere il
papà quando lo desiderava, causò problemi molto seri al mio bambino, e poi al
ragazzo, e poi...
La mamma era buona o cattiva?
Ciro viveva con me e riceveva da
me i messaggi che il mio comportamento, in concreto, gli trasmetteva... poi
incontrava il padre e la mia figura diventava quella di una strega. Tornava
inferocito. Mi guardava con odio. Poi gli passava.
Io non facevo altrettanto,
naturalmente. Demolire l'immagine del papà sarebbe stato criminale. Gli
confermavo che papà era buono... ma questo non aiutava Ciro a capire. Ne' gli
forniva le sicurezze che servono per crescere.
Ora era Ciro il solo maltrattato
(o forse no). Ed io non ne ebbi coscienza.
(Lo scrivo senza criticare la
Giulia di allora... semplicemente... andò così)
Perché purtroppo per anni
sottovalutai questo gravissimo problema di costruzione di una realtà instabile
e mutevole nella mente del mio bambino...
Quando capii e mi feci aiutare,
era già troppo tardi.
Auguro a chi ha a che fare con
una situazione di maltrattamento di esser capace di muoversi con l'urgenza
necessaria denunciando, facendosi aiutare.
Sottovalutare i danni, non
vederli perché dall'interno e da vicino si è “miopi” è facile.
L'aiuto esterno è fondamentale.
E il maltrattante deve essere
aiutato a capire. A curare il suo malessere.
Ora ci sono i mezzi adeguati a
ciò.
Affettuosamente,
Giulia
Nessun commento:
Posta un commento