lunedì 31 luglio 2017

CAPRICCI A TAVOLA: perché e cosa fare?

CAPRICCI A TAVOLA: perché e cosa fare?
 Nei primi anni di vita molti bambini possono avere, nella vita quotidiana e spesso a tavola, degli atteggiamenti oppositivi, “capricciosi” e reagire negativamente all’introduzione di nuovi cibi nell’alimentazione quotidiana. A volte il capriccio è scatenato da problemi apparentemente banali (tipo volere un particolare cibo e se non lo ottiene….scattare il “capriccio”).
Dallo svezzamento in poi il bambino va incontro a nuove abitudini alimentari e  scopre nuovi gusti; il genitore, come abbiamo scritto nello svezzamento e nei capitoli precedenti, decide le regole per un’educazione alimentare corretta (cosa, quando e dove si mangia) influenzando, per gli anni successivi, il rapporto del figlio con il cibo anche attraverso il suo comportamento. 
Il bambino, all’inizio, viene in contatto con sapori e odori che, in alcuni casi, accetta subito, altre volte, dopo vari tentativi. 
E’ compito del genitore  fornire al bambino una corretta alimentazione, offrendogli alimenti  sani per crescere, cercando  di assecondare le sue preferenze e i suoi gusti e, nel frattempo, sottoporgli anche alimenti che almeno inizialmente non desiderano mangiare.
Può succedere che in questa fase  alcuni bimbi rifiutino il cibo e facciano  capricci che possono sorprendere per la loro violenza, a volte vere crisi di collera, davanti alle quali papà e mamma non sanno come reagire.
E` utile sapere che atteggiamenti di questo tipo sono frequenti e non sono avvisaglie,  o il preludio, di un futuro carattere intrattabile e che non sempre  sono la conseguenza di errori educativi ma fanno parte dell’accrescimento del bambino.

Il bambino, intorno ai 2 anni, acquisisce maggior  autonomia e può cercare di manifestare, attraverso il capriccio, varie richieste e far pressione per determinati alimenti o per determinati comportamenti alimentari ad esempio pretendendo la TV o giochi durante il pasto. 
 La tavola è un luogo perfetto, anche se non l’unico, per questi “scontri di potere” per manifestare la propria autonomia: gli atteggiamenti oppositivi dei bambini mettono in discussione le regole stabilite dall’adulto facendo leva sulla preoccupazione del genitore per il corretto nutrimento del proprio figlio attraverso i “cosiddetti” capricci cui i genitori debbono essere pronti a rispondere cercando, prima di tutto, di capirne i motivi e cercando di agire di comune intesa
Quando il bambino non riesce a raggiungere un obiettivo, o è costretto a fare qualcosa che non vuole, o gli si nega qualcosa che desidera può reagire  con un’esplosione di rabbia che è la manifestazione della sua angoscia nel riscontrare, contrariamente a ciò che desiderava, la propria incapacità a ottenere quello che desiderava.
È molto probabile che, a questo punto, emergano capricci e rifiuti ostinati e che nell’interazione genitore-figlio si stabilisca un vero e proprio “braccio di ferro all’ultimo boccone”. Il bambino impara prestissimo a sostenere la sfida con i grandi a tavola. Inoltre, se manca la sensazione del piacere durante l’alimentazione, emerge una serie di difficoltà ad autoregolarsi nelle dosi e nella qualità del cibo, col rischio che nel corso dello sviluppo tutto ciò possa trasformarsi in un disturbo del comportamento alimentare.
Se i capricci a tavola o in altri momenti della giornata sono trascurati o sono  affrontati  in modo inadeguato o con tentativi disfunzionali reiterati, nel tempo, si possono trasformare  in un problema persistente. Con danni a tutta la famiglia e, soprattutto, al bambino.
Ma per quale motivo un bambino fa i capricci? E’ questo che dobbiamo capire. A volte esplodono improvvisamente per una cosa banalissima ma dietro, spesso c’è dell’altro e sta ai genitori, magari aiutati dal pediatra e/o da un pedagogista, capirlo. 

I capricci si svolgono sempre su due piani:
-       esplicito, con motivazioni a volte veramente di poco conto tipo: voglio questo o voglio vestirmi in quel modo;
-       implicito. E’ il piano quasi mai  immediatamente evidente che può riguardare aspetti affettivi, psicologici e  relazionali del bambino, con il genitore (o con l’adulto a cui è affidato: vedi tata e personale degli asili). 
I piani impliciti più frequenti sono:
-        “Bisogno di un segno di amore” perché non è sicuro di essere amato (magari in certi periodi come un lutto, un trasloco, l’arrivo di un fratellino).
-       “Bisogno di sapere quanto potere ha il bambino” nella relazione con gli adulti. Percepire di non averne o, al contrario, averne troppo (bambino tiranno) aumenta il disagio e di conseguenza fa i “capricci”.
-       “Bisogno di regole, ovvero quanto potere ha il genitore”: attraverso il capriccio il bambino può segnalare che l’adulto non stai gestendo adeguatamente il suo potere con il bambino. Il bambino  ha bisogno che l’adulto lo eserciti adeguatamente, in modo chiara, coerente ed esplicita, per dare un preciso orientamento e fornire sicurezza”. Ha bisogno che l’adulto gli dica “No”, con fermezza e con chiarezza al fine  di percepire attorno a sé sicurezza. La fermezza, la coerenza e la sensatezza nel porre le regole fanno parte dell’amorevolezza. E il bambino lo sente.
-       “Bisogno di sapere se il genitore è sufficientemente stabile e forte”. E’ angosciante per il bambino avere un adulto fragile che lui può comandare. Il bambino assume allora la parte di quello “forte”, che decide ma senza aver esperienza e competenze. Avrà atteggiamenti dispotici, dittatoriali, che intimidiscono ulteriormente un adulto debole ma il bambino sarà in crisi.
-       “Bisogno di autonomia”: sentire riconosciuto un certo grado (all’inizio piccolissimo) di autonomia (da subito, per esempio nel ritmo e nella durata della suzione). Se non vengono riconosciute le proprie competenze è possibile che, prima di disperarsi del tutto, cerchi di “forzare” l’adulto con dei capricci. 
-       “Bisogno di percepirsi come soggetto della propria vita” Il bambino ha bisogno che sia sistematicamente riconosciuto dagli adulti che si occupano di lui il valore del suo sentire, del suo pensare, del suo desiderare e del suo volere. 
Ricapitolando i fabbisogni “impliciti” alla base dei cosiddetti ”capricci” le interazioni sono, 
l’amore; 
-       il potere del bambino; 
-       il potere del genitore; 
-       la forza, stabilità e chiarezza del genitore (non genitore marionetta) ; 
-       l’autonomia; 
-       sentirsi riconosciuto (con i suoli voleri, sentimenti e desideri).

Non è facile, ma sapendolo, si hanno più possibilità di reagire in modo adeguato
Mi capita spesso di ascoltare mamme avvilite e preoccupate: la frustrazione è tale che a volte piangono o esprimono la loro delusione e la loro ansia attraverso la rabbia. A volte lo fanno davanti al bambino. E questo va proprio evitato.
Capita e non mi meraviglio, pensando a quanto importante sia per una nutrice alimentare vedere crescere il proprio figlio. Ma, poiché, soprattutto, per i bimbi piccoli, “la mamma è cibo e il cibo è mamma“, di fronte al rifiuto del bambino possono innescarsi dinamiche poco utili e, a volte, addirittura dannose, sostenute dalla convinzione di avere davanti un piccolo tiranno, testardo ed egocentrico.
Suvvia, un boccone per la mamma, uno per il papà e uno per la nonna!
Sovente, si fa attenzione al “sintomo” e non a cosa lo motivi!!! Cercando di ovviare al livello “esplicito” dobbiamo cercare di capire la spinta “implicita” alla base della reazione del“capriccio”.
Poi a volte, nella realtà quotidiana, accade spesso che siamo semplicemente davanti a un bambino che ha poco appetito, o che ha bisogno di mangiare poco, oppure che non è ancora pronto per quel dato alimento, per quel particolare momento conviviale, per il distacco dai rituali che lo legano alla mamma attraverso l’allattamento. 
Semplicemente, il bambino può non avere l’appetito che la mamma, o i familiari, si aspettano. L’inappetenza di un figlio è un concetto la cui relatività sta fra i suoi reali bisogni e le aspettative di chi lo nutre.
Ma se non realizziamo questo, possono instaurarsi meccanismi che creano un disturbo e una alterazione della relazione tra bambino e famiglia!
 Il bambino reagisce con il capriccio o con crisi di opposizione a cui spesso corrispondono atteggiamenti degli adulti che rendono la situazione sempre più complessa e difficile da risolvere: famiglie che hanno l’ansia di sedersi a tavola, di andare a cena con amici e bambini che instaurano un pessimo rapporto con il cibo…e con i genitori. Genitori che girano da vari medici e specialisti che spesso valutano quanto di loro competenza medica in base loro specialità “medicalizzando” sempre di più la vita del bambino.
Talora si arriva a richieste di fare “punture per farlo mangiare”, sedativi per calmarlo o di un “bel ricovero” .
Quante volte sento dire ”Non capisco come faccia a crescere con quel poco che mangia” per poi verificare, tenendo un  diario alimentare, che il bambino assume nutrimenti e calorie a sufficienza oltre al fatto che le curve di accrescimento sono perfettamente nella norma.
Se il bambino è sano, cresce normalmente e continua a mostrarsi vivace e allegro, non vi è alcun motivo di condizionarlo con aspettative che non può comprendere, né soddisfare, poiché nel suo istinto e nella sua spinta evolutiva egli ha strumenti insospettabili di autoregolazione dell’appetito e della sazietà.
·      Insistere significa forzare un sistema di autoregolazione evolutosi per migliaia di anni; 
·      mostrarsi dispiaciuti significa generare nel bambino il dubbio che egli non sia adeguato, accettato ed amato a causa del suo rifiuto; 
·      lasciarsi prendere dall’ansia significa rischiare di compromettere la serenità della corrispondenza armoniosa prima fra la mamma nutrice e il bambino nutrito e poi con tutta la famiglia
Rispettiamo, quindi, ciò che ha imparato dalla natura e che noi, invece, abbiamo dimenticato.

COSA FARE QUANDO FA IL CAPRICCIO?
Può essere utile interrompere il contatto, per un breve tempo.
Ma una cosa, fra tutte, è fondamentale: mai mettersi al livello del bambino. Mai.
Anche quando è esasperato, il genitore deve ricordarsi di essere su un altro piano. Non è mai il caso di mettersi a litigare col bambino. 
La relazione tra adulto e bambino non è paritaria. L’adulto ha dei compiti educativi.

Le regole standard che un genitore cerca di stabilire a tavola – e che il bambino può mettere in discussione con i capricci – sono descritte  in altre parti del libro (oltre a non guardare Tv o videogiochi): 
-       imparare a mangiare senza farsi imboccare; 
-       mangiare tutto ciò che c’è nel piatto (facendo porzioni di cibo adeguate e no9n eccessive; 
-       non giocare con il cibo o giocattoli; 
-       mangiare tutti i cibi proposti dal genitore, anche quelli meno desiderabili ma importanti per differenziare l’alimentazione; 
-       non alzarsi da tavola prima che il pasto sia concluso o il genitore dà il permesso di alzarsi. 
Per far rispettare queste poche e fondamentali regole l’adulto non deve far altro che armarsi di molta pazienza e guidare dolcemente il comportamento del bimbo. 

Quindi:

-       Imporre delle regole chiare e ragionevoli. L`osservanza delle regole dà ai bambini la sensazione di aver imparato a gestirsi e di aver accontentato i propri genitori e ciò fa nascere in loro sentimenti di autostima. (il potere del genitore; forza, stabilità e chiarezza del genitore)
·      Esprimere il vostro consenso e il vostro gradimento quando il bambino si comporta bene: se il bambino avverte che quello che fa da contentezza ai  suoi genitori si sente gratificato e importante e questo lo stimola a ripetere quel comportamento adottato. (far sentire il bambino riconosciuto, rispettarne l’autonomia)
·      Non impartire ordini rigidi e autorevoli (Mangia e zitto!) 
·      Non arrivare a contrattazione  con il ricatto emotivo (“Fallo per la mamma, ti prego”). 
·      Non forzare e fare pressioni. L’eventualità che il bimbo possa mangiare di meno o addirittura saltare il pasto crea angoscia e genera fantasie catastrofiche (“Non mangerà, non crescerà, si sentirà male” e via dicendo). 
·      Non insistere perché l'ostinazione si può trasformare gradualmente in costrizione e mettere il bambino a disagio e impedirgli di sperimentare la sensazione del piacere che naturalmente dovrebbe accompagnare l’esperienza del pasto. 
·      Non infliggere punizioni perchè non sono un mezzo educativo efficace. 
·      Non ascoltate i consigli di parenti ed amici: voi soli conoscete vostro figlio come nessun altro può farlo. 
·      Non fare confronti con fratelli, sorelle o amici.
·      Non usare le minacce.
·      Non tormentatevi chiedendovi se state facendo le cose giuste e se siete dei bravi genitori.
·      Armatevi di tanta pazienza e vedrete che il tempo risolverà molti problemi. 

In alcune situazioni e famiglie si ottengono buoni risultati anche cone le cos’dette “terapie strategiche brevi (Nardone, Watzlavick). Consigli di base sono:
1.    ”osservare senza intervenire” 
2.    “congiura del silenzio”. 
3.    “vietare per ottenere”
In che cosa consistono:
1.    Innanzitutto bisogna bloccare il proprio interventismo e studiare la situazione che, in seguito, potrà essere gestire in maniera differente. (osservare senza intervenire)
2.    Non parlare di cibo e di alimentazione di fronte al bambino: i genitori  devono  evitare di parlare del problema e  interrompere ogni forma di "forzatura" a mangiare. (congiura del silenzio)
3.    Il secondo passo, decisivo per sperimentare un’interazione differente, è la 
4.    negazione o, meglio, il vietare per ottenere. 
La mamma dovrà mettere in pratica alcuni stratagemmi: 
·      fare porzioni minime nel piatto.
·      Gustare pietanze prelibate ostentando piacere. 
·      Dichiarare che certi cibi non sono per i bambini vietandone l’assaggio. 
·      Proibire di sedersi a tavola e mangiare o non apparecchiare per "chi non ha appetito" (trattamento da riservare solo ai bambini che iniziano a lamentarsi prima di essersi seduti a tavola). 
·      Osservare senza intervenire, ovvero rimandare al figlio la responsabilità delle sue azioni.

·      Chiedere espressamente ai famigliari di evitare di intervenire in qualunque modo nei confronti del problema o anche solo di parlarne, ma di limitarsi ad osservarlo.

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