lunedì 18 marzo 2019

LA PERDITA DI UN FIGLIO DURANTE LA GRAVIDANZA

LA PERDITA DI UN FIGLIO DURANTE LA GRAVIDANZA
Caro dottore
Ho “perso”,  per un aborto spontaneo, un figlio  al 3 mese di gravidanza e, nonostante, abbia una bella famiglia e una bellissima bambina mi sento molto giù. Caro dottore succede spesso?

Questa è una frase che si sente  frequentemente nell’ambulatorio del pediatra di famiglia. Mamme che comunicano di aver avuto un aborto spontaneo o una morte prematura (aborto spontaneo: la morte avviene prima delle 28 settimane,  morte prematura del feto dalle 28 settimane fino alla nascita del feto) e che non hanno avuto alcuna assistenza o aiuto psicologico. 
Il tema è ancora, purtroppo, un argomento tabù collegato a pregiudizi e sentimenti di colpa. 
Un percentuale alta delle gravidanze si interrompe spontaneamente nel primo trimestre. Il dolore di un aborto spontaneo è un dolore che la società (noi) tende a minimizzare, ignorare, banalizzare e molte donne ancora non ricevono cure appropriate e rispettose quando i loro bambini muoiono durante la gravidanza, o alla nascita.
 L'Organizzazione mondiale della sanità pubblica un'inchiesta sull'argomento, dal titolo "Why we need to talk about losing a baby", mettendo al centro le storie di donne di diversa provenienza geografica che hanno vissuto l'esperienza in prima persona.
L'aborto spontaneo è la causa più comune che porta alla perdita di un figlio durante la gravidanza. (tasso di aborti spontanei del 10-15% tra le donne che sapevano già di essere in cinte). Si stima che ogni anno si verifichino 2,6 milioni di morti premature del feto. 
Quando avviene le mamme debbono elaborare l'angoscia e il lutto e rischiano, se non hanno aiuto per l’elaborazione, di avere conseguenze negative per anni: la maggioranza delle donne riporta sentimenti di vergogna e di colpa, sentendosi, del tutto o in parte, responsabili per la perdita del bambino.
“Date al dolore la parola; il dolore che non parla, sussurra al cuore affranto e gli dice di spezzarsi”.
William Shakespeare, Macbeth: IV, 3
Molte donne tendono a sviluppare problemi di salute mentale che possono durare mesi o anni, anche se successivamente hanno portato a termine altre gravidanze dando alla luce bambini sani. 
I sensi di colpa variamo a seconda delle culture e in alcuni casi  la perdita di un bambino è un'esperienza carica di pregiudizi perché alcune persone credono che ci sia qualcosa che non va nella donna che ha un aborto spontaneo. 
E’ molto triste il fatto che non tutte le donne - e nemmeno i padri – ricevano attenzione, ascolto,  sensibilità e supporto, anche da parte di amici e famigliari,  in un momento così doloroso.
Nella maggior parte dei casi un aborto spontaneo avviene in assenza di patologie o di fattori di rischio anche se molte donne, anche nei paesi più sviluppati dove sono disponibili le migliori procedure sanitarie, non ricevono cure adeguate dopo aver perso un bambino. 
Ricordo comunque che affrontare la gravidanza in buone condizioni di salute evitando fattori di rischio quali dieta non equibrata, alcol, droghe, fumo e farmaci contribuisce a ridurre questa situazione oltre a ridurre i tanti possibili danni al feto e al bambino  (basso peso alla nascita, prematurità, sindrome feto alcolica e altro)
Cosa non fare?
Innazitutto evitare frasi comuni e dette di “non consolazione”, quali: Per fortuna eri incinta solo di tre mesi”, «Vedrai che ne avrai altri» o «tanto hai già un bimbo», pronunciate con le migliori intenzioni, che, anziché accogliere e riconoscere il dolore, possono dare alla donna  l’impressione di essere trattata con sufficienza , di non essere compresa, di essere sola. 
Cosa fare? Innanzi tutto evitare di far finta di niente. Se la mamma vuole ascoltare quanto la mamma vuole raccontare, se vuole raccontare, e accogliere il suo dolore senza dare pareri, cercare improbabili frasi di consolazione. Far sentire la propria vicinanza fisica ed emotiva e, se si vuol dire qualcosa, dire  qualcosa di semplice come “mi dispiace”.
Accogliere  il dolore degli altri non è facile, non si è preparati, non si sa cosa dire. Ma in casi come questi non è necessario trovare le parole, è sufficiente saper ascoltare. Una stretta di mano. Un cenno del capo. Una vicinanza emotiva, se si è in confidenza una abbraccio.
Quando una donna perde un bimbo, in qualunque epoca dell’attesa, deve affrontare un percorso, personale, che, con i suoi tempi e i suoi modi, la porterà a elaborare la perdita. Chi è vicino alla donna la può aiutare, standole vicino e ascoltandola e invitarla a parlare quando vuole con il suo medico, il pediatra o altra persona qualificata (psicologo, pedagogista).
Le emozioni ignorate, non elaborate,  o, peggio,  negate restano lì, in sospeso, a pesare sul cuore che non ha avuto modo di sfogarle e rielaborarle.
Dar voce al dolore, quando ci si sente pronte per farlo, permette di alleggerirne il carico. 

http://www.ilfarmacistaonline.it/studi-e-rapporti/articolo.php?articolo_id=71955

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