mercoledì 16 febbraio 2022

IL BAMBINO MANGIA POCO E SOLO QUELLO CHE VUOLE LUI

IL BAMBINO MANGIA POCO E SOLO QUELLO CHE VUOLE LUI.

Sintetizzo qui due frasi che vengono dette frequentemente al pediatra: “mio figlio non mi mangia” e “mangia solo quello che vuole lui”. Alcuni bambini hanno iniziato ad avere problemi con l’alimentazione fin dallo svezzamento (in genere al 6 mese di vita) soprattutto se effettuato in modo rigido, direttivo e poco elastico, ma più frequentemente un atteggiamento negativo nei confronti del cibo compare intorno ai 2 anni età in cui anche bambini  in precedenza “mangioni” iniziano a rifiutare categoricamente vari tipi di cibo.

Alcuni bambini manifestano segni di fame ma mangiano solo quello che vogliono loro. Altri sembra che “vivano di aria” e manifestano poco interesse per il cibo.  

A questi genitori cosa consigliare? Innanzitutto, dobbiamo dire che non esiste una soluzione unica valida per ogni bambino, e per ogni famiglia, per cui consiglio di prendere appuntamento con il proprio pediatra, senza il bambino che verrà visitato in altra occasione senza parlare, in sua presenza,  di alimentazione e del fatto che mangia poco o solo quello che vuole.

Bisogna sapere che dall’anno di vita in poi con punte massime dai 2 ai 6 anni di vita alcuni bambini (oltre il 20 - 30%, più frequentemente maschietti) rifiutano di assaggiare e mangiare cibi non conosciuti in precedenza. Anche bambini che hanno sempre mangiato volentieri di tutto iniziano a rifiutare alimenti che non conoscono o anche cibi che hanno sempre mangiato, seppur con minor frequenza. 

Questo comportamento, influenzato da una forte componente genetica (magari anche mamma e papà facevano così), va interpretato come un atteggiamento di diffidenza verso ciò che è nuovo o che è poco noto. Esprime da una parte una ricerca di autonomia del bambino e una scelta di quello che vuole mangiare e dall’altra la diffidenza verso un cibo sconosciuto: la cosiddetta “neofobia” o rifiuto di assaggiare e mangiare cibi nuovi, mai conosciuti in precedenza. La neofobia riguarda principalmente la frutta e la verdura. Da un punto di vista evolutivo, rappresenta un meccanismo di difesa che proteggeva, nei secoli e millenni scorsi, i bambini dall’ingestione di prodotti nocivi o tossici. E’ un comportamento innato, retaggio millenario di un adattamento evolutivo ad un ambiente ostile, che ha consentito ai bambini che iniziavano ad “esplorare” ambienti pieni di pericoli alimentari (erbe velenose, alimenti deteriorati per esempio) di sopravvivere.

La neofobia è minima/assente nel primo anno di vita e aumenta durante tutta la prima infanzia, per poi diminuire gradualmente con l’avvicinarsi dell’età̀ adulta.

Quando si presenta la neofobia le reazioni più frequenti dei genitori sono quelle di evitare di ripresentare l’alimento rifiutato o, al contrario, cercare di convincere il bambino con promesse, teatrini, regali, a volte con minacce ecc. Questi atteggiamenti sono da evitare perché non portano a buoni risultati. 

Innanzitutto, è importante prevenire il problema offrendo al bambino durante lo svezzamento ed entro il primo anno, anno e mezzo di vita, la maggior parte degli alimenti, in modo da abituarlo a gusti, odori, sapori, consistenze e aspetti differenti del cibo. Importante l’educazione che si impartisce con lo svezzamento!!!!

Ricordiamo che se vogliamo che il bambino mangi di tutto è consigliabile proporre con pazienza il cibo che non vuole varie volte prima che lo accetti in modo stabile. 

Cercare di convincere un bambino a mangiare in cambio di un premio è controproducente: nella quasi totalità dei casi la preferenza verso quell’alimento diminuisce o rimane per lo più invariata. Non si avvicina il bambino al cibo con promesse, premi o, ancora peggio, ricatti o minacce di punizioni!!!!!.

 

 

 

Fornisco informazioni e consigli per l’alimentazione, validi per tutti i bambini, ma ricordo che ogni bambino richiede un approccio personalizzato: l’accettazione di un nuovo alimento nei bambini fino ai 5 anni avviene spesso solo dopo una esposizione ripetuta, anche oltre le 10 volte. Non rassegnarvi subito se non vuole un alimento ma riproponetelo più volte a distanza di qualche giorno di tempo; evitare di proporre il piatto preferito tutti i giorni, in quanto offrendo sempre gli alimenti preferiti pur di farlo mangiare, il bambino si abitua ad una dieta monotona, spesso non adeguata da un punto di vista nutrizionale.  Soprattutto si deve cercare di evitare stress e ansie al momento del pasto e bisogna cercare di creare un ambiente positivo e piacevole. Deve esserci il piacere per tutta la famiglia di unirsi attorno alla tavola, oltre che per mangiare, anche per parlare in serenità e con gioia (senza TV e strumenti digitali). Man mano che il bambino cresce va coinvolto nella preparazione dei pasti e nell’acquisto del cibo. Soprattutto, se il bambino cresce secondo i suoi ritmi e il pediatra lo trova in salute cercare di non stressarsi e non stressarlo se rifiuta un alimento.

Cosa fare quando un bambino ormai si è abituato a magiare solo quello che lui vuole?

E’ necessario impostare una strategia che coinvolga tutta la famiglia, nonni compresi e cercare di riportare ordine nelle abitudini del bambino, e della famiglia, e stabilire una gerarchia dei valori: l’alimentazione di un bambino risente dell’educazione che gli viene fornita e capita che, pensando di fare il bene del bambino, gli si concedano cose o si adattino comportamenti che possono nel tempo aggravare la situazione (ovvero a volte la terapia è peggio del disturbo).

Il pediatra imposterà, con i genitori, un percorso e, se il caso si potrà avvalere della consulenza di un pedagogista e, in alcuni casi, di uno psicologo.

Innanzitutto se il bambino “sta bene”: è vivace, gioca, non perde peso il pediatra escluderà una patologia organica e è necessario un percorso di graduale di rieducazione all’alimentazione che deve partire dalla consapevolezza dei genitori, e dei nonni, che il fatto che il bambino ha una alimentazione selettiva non si risolve con un ricostituente o con stimolanti dell’appetito ma con un processo di rieducazione comportamentale e si deve iniziare a lavorare su “noi” adulti.

E’ necessario mantenere sempre una buona comunicazione/relazione con il bambino: non alzare la voce, non mostrarsi irritati, non pregare né minacciare di mangiare e ricordarsi che: “se il bambino ha fame mangia”. Prima o poi si mette a mangiare e bisogna soprattutto  cercare di non farsi prendere dall’ansia e dalle paure. So che non è facile. Ma non può e non deve essere il bambino a decidere cosa mangiare. 

Magari si cerca di accontentarlo all’inizio ma, gradualmente, si prepara dopo i due anni un menu identico per tutti e se mangia bene…e se non mangia?? Resistere e mangerà.

Consiglio di adottare alcuni comportamenti (presi dalle cosìdette “terapie strategiche brevi” di G. Nardone e Watzalvick):

1)    Congiura del silenzio: Non parlare del problema del poco appetito o della selettività dell’alimentazione: più se ne parla e più il problema aumenta. Non parlare davanti al bambino ma neanche tra noi adulti. Basta parlare di quanto mangia poco tra genitori, con nonni, tate, maestre, con le altre mamme, con i vicini di casa ecc. Più si parla di una difficoltà, più per la mente quella cosa è importante e più la difficoltà ci risulta insormontabile per noi e si rafforza il comportamento per il bambino. Se ne parliamo ad altri davanti al bambino questi lo può prendere come un tradimento nei suoi confronti con conseguente aumento del problema. Oppure lo può percepire, inconsciamente,  come una modalità per essere al centro dell’attenzione e giustificare così le sue modalità di alimentazione.  

2)    OSSERVARE SENZA INTERVENIRE: se il bambino non mangia evitare di arrabbiarsi (anche se non è facile perché a volte ci sfida per vedere fin dove arriva la nostra pazienza). Evitare anche di  spiegare, di fare conferenza sull’utilità del cibo , che in altri paesi i bambini muoiono.

E’ bene osservare, senza distaccarsi né reagire. Osservare significa che il genitore è presente,  osserva, accoglie il bambino con lo sguardo, cerca di comprendere quello che ti succede, ma evita di intervenire (a meno che non ci sia un pericolo!). 

Il canale comunicativo privilegiato fino ai 10-12 anni non è quello verbale (la parola) ma quello non verbale che comprende la postura, lo sguardo, l’abbraccio, la postura, lo sguardo e per quanto riguarda la parola ha più importanza, e viene percepito di più, il tono, il volume e la partecipazione emotiva di come si dice una cosa  più che  le parole in se stesse (cioè quello che si dice). 

Infine è bene accertarsi che tutte le persone che accudiscono il bimbo seguano la stessa linea di condotta. 

Qualche consiglio pratico in cucina: cucinare con calma cose gustose anche quando il bimbo dimostra di volere sempre le stesse cose. Cercare di coinvolgerlo, in base all’età. Il momento del mangiare deve essere vissuto come un gioco, come una bella favola che gli zi può raccontare per distrarlo e disporlo positivamente nei confronti dell’alimentazione. 

Mantenere gli orari e l’abitudine dei riti come apparecchiare la tavola, anche se solo per lui, mettere tutto in ordine in cucina o dove mangia il bambino prima di sederlo per mangiare, non dargli mai da mangiare in braccio e, se anche comincia volentieri, non insistere mai perché finisca il suo piattino a tutti i costi. 

Meglio offrire porzioni piccole e semmai (potrebbe anche accadere prima o poi)  fare il bis. 



 

 

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