GENITORI:
CONDANNA,
BIASIMO, ASSOLUZIONE O SUPPORTO?
Sottotitolo: per
educare i bambini, prima, educhiamo noi stessi
Qui sotto un articolo di un grande Pediatra, Giorgio,
Tamburlini, su bambini e genitori pubblicata sull’ultimo numero della Rivista
per pediatri Medico e Bambino. Sintetizzo: interventi educativi sui genitori
sono utili se fatti precocemente e organizzati. Idealmente prima della nascita
e nei primi anni. Fin da 6 mesi si può leggere ai bambini (Nati per leggere).
Bisogna spiegare ai genitori cosa è un bambino (quanti ne vediamo divenuti
oggetto di culto, griffati e viziati, che ottengono tutto e pretendono di più).
Avere un bambino è una occasione di rivedere la nostra vita di smetterla di
essere bambinoni e di assumere piacere dalla gioia, e responsabilità, di
avere e crescere ed educare, un bambino.
Ma prima dobbiamo educare noi. A cosa? A mangiare bene, a guidare con prudenza,
a evitare comportamento giustificabili in un adolescente (i bambini imaparano
da quello che noi facciamo e non da quello che noi diciamo), a curare il nostro
fisico (alimentazione sana, via alcol e sigarette..e altro) per noi stessi e
per i bambini (se diventiamo anziani in gamba ne traiamo tutti un vantaggio e
anche per non dare cattivi esempi. Coltivando la mente (leggendo, avendo
hobby). Vi lascio alla lettura del libro: avere un bambino deve essere una
occasione per una riscoperta di noi. E ricordate che c’è differenza tra il
bambino idealizzato, sognato, tra le aspettative che varete durante la
gravidanza e il bambino reale. Solo quest’ultimo è il bambino vero, vostro,
unico , diverso spesso da quanto pensavate e diverso dagli altri perché vostro.
si è parlato di una svolta epocale nel rapporto tra le
generazioni, e soprattutto nel ruolo genitoriale, sulla cui crisi profonda c’è
accordo generale.
Ormai quasi il 50% dei nuclei familiari non hanno più la
struttura tradizionale - padre, madre e figli biologici della coppia primaria -
e i ruoli si sovrappongono, si mescolano, si surrogano. Ma ai genitori viene
anche rimproverato di essere ripiegati su di sé, volti all’eterna giovinezza,
preoccupati dell’esteriore, dell’apparente, della salute fisica piuttosto che
mentale dei propri figli, o di proiettare eccessive aspettative sulle spalle
fragili di una adolescenza che inizia presto e pare non finire mai (Nel
dizionario Zingarelli del 2014 è stato introdotto il termine: ADULTESCENZA)
Fatto nuovo: si è cominciato a condannare i genitori non
solo per gravi violenze o trascuratezze, ma per essere venuti meno, in un modo
o nell’altro, alle proprie responsabilità: dimenticando il bimbo in auto, non
sorvegliandone la frequenza scolastica, non concedendogli adeguato
sostentamento.
Al di qua delle condanne, si è levato, dai media come dagli
operatori che hanno a che fare con bambini e ragazzi, un moto di biasimo
generalizzato nei confronti di una generazione di genitori incapaci.
Una diffusa rivista settimanale ha titolato: “Il vero
problema degli adolescenti sono i genitori” (Jennifer Senior, New York
Magazine, riportato su In- ternazionale, 23 aprile 2014). E a chi di noi non è
capitato, ve-nendo a sapere di vicende più o meno sciagurate di questo e quel
giovane, di pensare (e dire) “beh, con quei genitori...”. Ci sono, sì, anche
gli avvocati difensori. Recentemente sulle colonne del Corriere si è scritto:
come è possibile oggi, nella instabilità crescente dei rapporti familiari,
ritenere che mamma e papà siano l’origine unica delle “deviazioni” di un
figlio? (Paolo Di Stefano, Corriere della Sera, 2 aprile 2014). Massimo
Recalcati, (Il complesso di Telemaco, Feltrinelli 2013), propone una via
d’uscita, ardua ma possibile: dal Padre “evaporato” al Padre che propone come
sua eredità non l’autorità padrona di ieri, né l’assenza di oggi, ma l’esempio
di un desiderio, di un progetto.
Possiamo facilmente constatare che l’impatto dell’ambiente
mediatico è oggi molto più forte che in passato, ed è destinato ad aumentare,
sia sui genitori che sui bambini, fin da piccoli. Ne consegue che le differenze
tra bambino e bambino, che una volta facilmente si attribuivano all’influenza
della famiglia, ora tendono a diminuire, riflesso della società globalizzata e
dei suoi mezzi di comunicazione. I genitori, nel bene e nel male, meno possono.
E meno credono di potere. Infine, come ben sanno i pediatri e qualunque altro
operatore abbia a che fare con i bambini e le loro famiglie, i genitori di oggi
- la gran parte di loro - non hanno molti punti di riferimento. Molti li
cercano, ma sono confusi, insicuri quando va bene. Quando cioè non sono stati
risucchiati dal vortice conformistico e condotti a ridurre bisogni e
possibilità dei figli al consumo dell’oggetto, a coltivare le loro performance
specifiche, a difenderli anche di fronte all’indifendibile violazione delle
libertà altrui, a essere preda dell’ossessione del contatto continuo. Che vi
sia una richiesta, un bisogno, forse non sempre espliciti, di guida, di
modelli, non vi sono dubbi.
Non si tratta dunque di discutere di colpevolezza o
innocenza. L’interrogativo è un altro: lasciare i genitori perdersi nel
frullatore globalizzante, o cercare di supportarli nel loro ruolo? Certo, con
le “grandi” politiche, sociali, economiche, educative. Ma anche nel “piccolo”,
che più è a nostra portata, con informazioni, con rassicurazioni, con esempi, e
con un sostegno a più mani quando serve. Il sostegno serve se è competente, se
ha una certa continuità (almeno un anno, il primo), se comincia presto (da
prima della nascita). Non può servire quando è episodico, o quando non lascia
spazio all’interazione, all’ascolto.
La storia di “Nati per Leggere” può essere illuminante sul
cosa si può fare, e come, e quando. Se la voce autorevole, perché percepita
come tale, del pediatra, trova il modo e i tempi giusti per spiegare che il
bambino, ancora piccolissimo, capisce, “riceve”, immagazzina, apprezza la
parola, soprattutto se unita all’ab- braccio, al contatto, alla voce
conosciuta; se la stessa voce fa vedere al genitore come il bambino è già
interessato al primo libro, quello delle facce (e ad alcune in particolare:
quella del piccolo che piange cattura moltissimo), lo manipola, lo mette in
bocca, lo fa suo. Se quel genitore ha avuto, e se gli è stato dato, il tempo
per vedere e ascoltare, se la sua mente non era distolta da mille altre
preoccupazioni, allora quel genitore può sperimentare da solo la magia di
scoprire che può fare qualcosa di nuovo, di non immaginato, e di verificare
come sia utile e immediatamente buono per il proprio bambino. E per sé.
È un esempio di cose semplici che si possono fare, a partire
da subito. Piccole cose a cui ne possono seguire altre, nel gioco, nell’ascolto
condiviso, nell’incontro con altri, che possono far scoprire un modo di essere
genitori, soddisfacente, costruttivo di un ruolo, di una identità, e
contrastante l’omologazione. Perché si può parlare la propria lingua,
raccontare le proprie storie, far vedere il proprio viso, usare cose semplici e
di poco costo,
rincorrere il cambiamento continuo, ma godere (il bambino lo
fa) della ripetizione. Questo può contribuire a creare i presupposti per
rendere possibile la missione ultima di un genitore: quella, come propone
Recalcati, di trasmettere il desiderio, far sentire la propria fiducia nelle
visioni, nei progetti e nella forza dei propri figli. Cose difficili da
trasmettere, se non si seminano e si coltivano dentro di sé.
Sono, queste, piccole cose importanti che possiamo proporre
co- me individui, e contribuire a rendere possibili come gruppi di
professionisti e di cittadini. Nei primi anni, i più importanti. Poi, certo,
potranno venire le scuole per genitori (non inutili, ma capaci di seminare solo
dove la terra è già buona), il lavoro degli educatori, e infine l’influenza dei
pari e dei media. A quel punto si complicherà, molto, il lavoro del genitore, e
noi pediatri potremo poco o nulla. Ma se avremo contribuito a far immaginare, e
fare, le cose in modo diverso, qualcuno se ne ricorderà, sia i piccoli una
volta grandi, sia i grandi una volta diventati più deboli. Che supportare i
genitori nel loro ruolo (che Freud definì im- possibile) sia difficile, lo
sappiamo. Che sia più importante di quanto lo sia mai stato è una tesi che si
può sostenere con buo- ni argomenti.
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