Cari genitori e ragazzi e ragazze
Qui http://ferrandoalberto.blogspot.it/2014/02/lettere-di-mamme-picchiate-violenza-di.html ho pubblicato lettere di mamme (e quindi di bambini) sottoposti a violenza da parte del marito. Ora pubblico la prima parte di una storia vera di Giulia, mamma, e Ciro, figlio, delle conseguenze di una violenza non segnalata e sopportata sulla mamma e sul figlio. GUARDATE CHE E' FREQUENTE. POTREBBE ACCADERE AI VICINI, A AMICI...A NOI STESSI ...E CHI SOFFRE SONO TUTTI ANCHE IL MALTRATTANTE CHE DEVE ESSERE PRESO IN CONSIDERAZIONE E CURATO. SPESSO IL CARNEFICE E' STATO VITTIMA A SUA VOLTA E LA SPIRALE DEL MALTRATTAMENTO NON SI FERMA DA SOLA. RESPONSABILI E ATTORI SIAMO TUTTI: MEDICI, INSEGNANTI, MA NON SOLO: VICINI, AMICI E PARENTI. NON VEDERE O NON VEDERE VUOL DIRE PARTECIPARE E CONCORERRE AD ALIMENTARE LA SPIRALE DELLA CILENZA , DEL MALTRATTAMENTO INTRAFAMILIARE. POI ESISTONO ALTRI MALTRATTAMENTI SOCIALI, SANITARI E SCOLASTICI (per es. non far fare la pipì a scuola) ma ne parleremo in altre occasioni.
Alberto Ferrando
Qui http://ferrandoalberto.blogspot.it/2014/02/lettere-di-mamme-picchiate-violenza-di.html ho pubblicato lettere di mamme (e quindi di bambini) sottoposti a violenza da parte del marito. Ora pubblico la prima parte di una storia vera di Giulia, mamma, e Ciro, figlio, delle conseguenze di una violenza non segnalata e sopportata sulla mamma e sul figlio. GUARDATE CHE E' FREQUENTE. POTREBBE ACCADERE AI VICINI, A AMICI...A NOI STESSI ...E CHI SOFFRE SONO TUTTI ANCHE IL MALTRATTANTE CHE DEVE ESSERE PRESO IN CONSIDERAZIONE E CURATO. SPESSO IL CARNEFICE E' STATO VITTIMA A SUA VOLTA E LA SPIRALE DEL MALTRATTAMENTO NON SI FERMA DA SOLA. RESPONSABILI E ATTORI SIAMO TUTTI: MEDICI, INSEGNANTI, MA NON SOLO: VICINI, AMICI E PARENTI. NON VEDERE O NON VEDERE VUOL DIRE PARTECIPARE E CONCORERRE AD ALIMENTARE LA SPIRALE DELLA CILENZA , DEL MALTRATTAMENTO INTRAFAMILIARE. POI ESISTONO ALTRI MALTRATTAMENTI SOCIALI, SANITARI E SCOLASTICI (per es. non far fare la pipì a scuola) ma ne parleremo in altre occasioni.
Alberto Ferrando
Ci racconterà Giulia, attraverso la sua esperienza, come
sia necessario farsi aiutare, denunciando molestie e maltrattamenti psicologici
e fisici (ma anche se solo psicologici, fanno danni importantissimi).
Denunciare a strutture finalizzate alla protezione della
famiglia, nella sua parte più debole. Ed alla cura del maltrattante che, a sua
volta, ha una fragilità terribile, pur nella brutalità psicofisica manifestata,
nel tentativo di superarla...
Giulia non è il vero nome dell'amica mia e del dottor Ferrando.
La nostra amica è ultrasessantenne e suo figlio si incammina verso i
quarant'anni. Ma le sofferenze vissute dal figlio, che chiameremo Ciro, lo
hanno portato, a partire dall'adolescenza, a manifestare comportamenti
fortemente disturbati, simili a quelli paterni, in alternanza a crisi in cui
Ciro si sentiva grandemente in colpa, ed entrava in depressione, anche con
fantasie suicide qualche volta. E, successivamente, non riusciva a costruire
legami affettivi con le fidanzate che non avessero caratteristiche distorte e
malate. Ma era soprattutto su Giulia che i comportamenti aggressivi di Ciro si
riversavano.
Ed alla fine, una grave violenza fisica sul secondo
compagno di lei, e nel modo più brutale e pericoloso.
Giulia era molto giovane, e Ciro aveva meno di 2 anni,
quando ha capito di doversi separare dal marito (lo chiameremo Andrea), perché
stava vivendo nella paura per se', ma soprattutto per il suo bimbo.
Il bimbo era innamorato del suo papà e Giulia aveva
creduto di poter proteggere Ciro
semplicemente separandosi da Andrea.
Ma così non è avvenuto... nonostante la separazione, quel
che Ciro ha vissuto, prima e dopo la separazione dei genitori, lo ha segnato in
modo grave.
Se qualcuno fosse riuscito a far capire ad Andrea che il
suo comportamento era malato, e che lui stesso aveva bisogno di cura, non solo
per il bene di suo figlio, ma anche per poter essere lui stesso una persona
felice di se', sarebbe stato molto utile.
Ma allora non si pensava a curare il maltrattante,
ammesso che si fosse riusciti a dimostrare il maltrattamento. E al massimo si
concepiva una pena.
Mi interrompo, sarà Giulia stessa a continuare. Lo farà a
frammenti: nonostante da 24 anni sia sostenuta da un professionista per reggere
nel modo più utile possibile il rapporto con Ciro, scrivere di questo argomento
è per lei un lavoro che le fa battere forte il cuore.
Ecco il racconto di Giulia:
La mia storia con Andrea, pur con un'interruzione per me
dolorosa (ero molto innamorata) era nata sui banchi di scuola. Poi il matrimonio...
nonostante avessi avuto la netta percezione, andando alla cerimonia, di
infilarmi in grossi guai. Ma era stata più forte la malia dell'innamoramento.
Già da ragazzina ero abituata a considerare i suoi eccessi
come espressione di una sofferenza (il suo rapporto con il padre gli creava
molti problemi). Povero Andrea, mi dicevo, ha bisogno di amore, ha bisogno di
essere capito.
Sin dai primi tempi della nostra convivenza, Andrea aveva
iniziato a tenermi sveglia la notte per descrivermi in modo insistente ed
estenuante i miei innumerevoli difetti, per i quali, spiegava, si preoccupava,
perché mettevano a rischio il nostro futuro. E non smetteva di parlare dei miei
innumerevoli difetti, impedendomi di dormire sinché, esausta, crollavo,
piangevo e ammettevo le mie presunte colpe. Il giorno dopo ero uno straccio.
All'inizio del matrimonio gli rispondevo cercando di capire,
ma abbastanza presto compresi che aveva solo bisogno di farmi star male.
Ciononostante, continuavo a giustificarlo.
Faceva anche altri giochini per farmi star male, come ad
esempio ignorare totalmente la mia presenza per giornate intere. Come fossi
stata trasparente.
Oppure faceva assurde, immotivate, scenate di gelosia,
rompendo oggetti cui io tenevo.
Ma non le consideravo cose troppo gravi: col tempo, e la
pazienza amorevole, le sue sofferenze si sarebbero lenite e tutto sarebbe stato
superato.
Non volevo figli, però, sinché la situazione non sarebbe
cambiata. E per questo venivo molto criticata da lui e dalla sua famiglia.
Poi, per errore (o forse no), rimasi incinta ed ebbi Ciro.
E la situazione cambiò.
Di colpo lo vidi con lucidità com'era. Colsi che avevo a che
fare con una persona fortemente disturbata. Gli proposi di affrontare il suo
malessere perché ora avevamo un figlio, e responsabilità importanti.
Ma la mia lucidità non gli piaceva.
Cominciò con l'avere altre donne. Però io ero distratta,
avevo Ciro di cui occuparmi e non me ne accorsi neppure. Me lo fece raccontare
dal fratello, a cui risposi ridendo che non era possibile che Andrea, geloso e
possessivo com'era, potesse fare lui stesso ciò che ossessivamente dichiarava
così grave ed amorale. (Sembra incredibile, ma allora la coerenza mi pareva
indiscutibile!)
I suoi tentativi di umiliarmi si fecero più frequenti. Le
sue ossessive sceneggiate notturne più aggressive. Ma gli tenevo testa molto
più a lungo: non avevo tempo da perdere con stupidaggini. E intanto continuavo
a proporgli di risolvere i problemi o di lasciarci. Ma ero molto provata.
Che la situazione virasse al peggio, per Ciro e per me, lo
capii una notte.
Si rientrava da una delle interminabili serate del sabato, a
cena a casa dei nonni paterni.
Il tinello, dopo la cena, si trasformava in un fumoir
insano. Il bimbo piccolo, due anni, sul tavolo come giocattolo/trofeo <l'erede
del nostro sangue>. Attorno quattro adulti a fumare e parlare parlare
parlare.
Era una sofferenza (non ho mai fumato in vita mia), un gran
mal di testa ed una gran rabbia feroce per l'intollerabile mancanza di rispetto
per un bimbo piccolo.
Ma le mie accese rimostranze per i diritti calpestati di
Ciro erano ininfluenti. Cinque persone, la famiglia, il clan, erano solidali
nell'irridere le mie argomentazioni: <sei la solita integralista fuori dal
mondo> .
Il ritorno a casa in auto fu con me alla guida. Strana
eccezione, perché Andrea era fanatico di auto e geloso della sua
(incredibilmente me ne viene in mente ora il motivo: la cosa era funzionale ad
un giochino cattivo).
<Ciro ha sonno, salgo con lui> mi disse Andrea appena
giunti nei pressi di casa.
Posteggiare la notte, in quella zona centrale della grande
metropoli del nord, non era facile. Occorreva girare un po' a vuoto. Ed io
cercai il posteggio da sola.
Ascensore. Settimo piano.
La porta dell'appartamento era socchiusa. Dentro buio.
Provai ad accendere la luce. Non si accendeva. Silenzio. Paura. Provai a
chiamare. Silenzio. Perché? Cos'era successo? Nessuna luce si accendeva. Il
cuore martellava. Girai tutte le stanze nel panico.
Di colpo si misero a gridare entrambi, padre e figlio,
emergendo da dietro il letto matrimoniale dietro cui si erano acquattati.
E mio marito, ridendo, andò a ricollegare il contatore della
luce che aveva staccato.
Stavo male. Il cuore ancora martellante.
Il bimbo che era riemerso da dietro il letto, accanto al
padre, e come lui si era messo ridere, appena vide il mio viso, che
evidentemente esprimeva lo stato sofferente, mi venne incontro spaventato.
Accarezzandomi, mi diceva <Mama? Mama?> con un tono amorevole e spaventato che non ho mai
dimenticato.
Mi riscossi subito per tranquillizzarlo, ma non so quanto fu
possibile celare il mio malessere.
Per ora mi fermo.
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